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LA NASCITA DELLO STATO D’ISRAELE

Materiali per un inquadramento storico della questione palestinese: cronologia e notizie.

Non cercheremo il segreto dell’Ebreo nella sua religione, ma cercheremo il segreto della sua religione nella realtà dell’Ebreo.
Karl Marx, La Questione Ebraica
1. LA DIASPORA.

L’anno prossimo a Gerusalemme!
Formula tradizionale del rito pasquale ebraico.

Identità etnica e funzione economica
> La dispersione degli ebrei non risale alla caduta di Gerusalemme. E’ accertato che già molto prima di tale evento più di tre quarti degli ebrei non vivevano più in Palestina. La grande maggioranza di essi era dedita al commercio. Infatti la stessa Palestina, per la sua posizione tra le valli del Nilo e dell’Eufrate, costituiva un ponte di transito per le merci, quindi fiorenti vi sono sempre stati i commerci. D’altra parte si trattava di una regione montagnosa che non bastava a nutrire la popolazione, costretta quindi ad emigrare. Ma nell’antichità non era agevole integrarsi in un paese straniero, se non come commerciante, artigiano o mercenario, ciò perché l’economia naturale è fondamentalmente agricola e autosufficiente, costituendo quindi una economia, e un sistema sociale, chiusi. Ma proprio perché non vi è incentivo allo scambio, solo i forestieri, non inseriti in essa, hanno questa necessità. Pertanto i commercianti sono stranieri. E’ ciò che accade agli ebrei, come ai fenici e ai greci, che si spargono in tutto il mondo antico svolgendo una precisa funzione sociale, per cui nelle società precapitaliste l’identificazione di una classe con un popolo è lungi dall’essere eccezionale. Le minoranze etniche e religiose assolvono una funzione economica.
L’odio per gli ebrei non nasce con il cristianesimo, perché la sua radice sta nell’antagonismo che esiste tra il mercante e qualsiasi società basata sulla produzione per l’uso, che si manifesta come disprezzo per tutte le attività economiche diverse dall’agricoltura. “I cittadini non devono esercitare né le arti meccaniche né le professioni mercantili, poiché tale genere di vita è ignobile e nemico della virtù”. Così Aristotele. Ma il commercio e l’usura, sebbene marginali in tali società, costituiscono una funzione sociale necessaria, che qualcuno deve svolgere. Quindi, mentre la Chiesa perseguitava senza pietà pagani ed eretici, allo stesso tempo, pur esecrandola, tollerava la religione ebraica.
Il capitale mercantile del mondo antico e medievale, come anche quello usurario, non è portatore di un nuovo modo di produzione, non organizza il lavoro. Si limita a prelevare una quota del plusvalore, che qui è il risultato dello sfruttamento schiavistico e feudale nell’agricoltura. In Europa gli ebrei ricoprono per secoli il ruolo di mercanti. L’economia feudale fa la loro prosperità: essi sono gli intermediari indispensabili di una economia naturale e provvedono di oggetti di lusso una aristocrazia che li protegge. L’imperatore stesso li tutela e garantisce loro una giurisdizione autonoma, all’interno della loro organizzazione particolare, la “Kehillah” (comunità). E’ solo dal XII secolo, con lo sviluppo delle città e la formazione di una classe commerciale e industriale, non solo indigena ma moderna in senso classista, che la situazione degli ebrei incomincia a peggiorare sensibilmente. Gli ebrei perdono il monopolio commerciale e sono soppiantati da una borghesia autoctona che sbarra loro l’ingresso alle gilde. Diventano così usurai. Con la fine del secolo XIV gli ebrei d’occidente, espulsi dalla penisola iberica e perseguitati altrove, emigrano verso l’impero ottomano e l’Europa orientale, dove ritrovano una economia feudale che consente loro di svolgere il ruolo di artigiani e intermediari commerciali. Mentre in Europa occidentale con l’avvento del capitalismo manifatturiero ed industriale l’assimilazione procederà ad un ritmo vertiginoso. Ma anche qui verrà successivamente ostacolata dalla crisi generale della piccola borghesia espulsa dalle proprie attività e restia a proletarizzarsi, fenomeno di cui la crisi dell’ebraismo è un aspetto particolare.
> Quindi, proprio per il fatto che gli ebrei rappresentavano un capitalismo primitivo, cioè la borghesia come ordine feudale, lo sviluppo del capitalismo moderno poteva solo essere fatale alla loro posizione sociale, mentre dovunque si sono integrati alla classe capitalista, o si sono dedicati alle libere professioni, essi fatalmente sono stati assimilati. Se il giudaismo non scomparì totalmente dall’Europa occidentale ciò fu dovuto massiccia migrazione di ebrei dell’Europa orientale, dove lo sviluppo del capitalismo era più arretrato. Quindi ivi gli ebrei poterono continuare a svolgere le loro attività tradizionali e la loro condizione resta favorevole fino a tempi abbastanza recenti.

70-125
> Caduta dello stato ebraico di Giuda ad opera dei romani, e ultimi sussulti di indipendenza.
II-III secolo
> Numericamente la comunità ebraica in Palestina diminuisce considerevolmente e scompare quasi del tutto.
425
> Estinzione del centro culturale palestinese con la morte del patriarca Gamliel IV, ultimo esponente in Terrasanta della tradizione rabbinica. La distruzione del centro nazionale dell’antico Israele porta alla pressochè totale separazione delle colonie della Diaspora. Ma in nessun periodo gli ebrei scompaiono dalla Palestina. Piccole colonie sopravvivono nelle città sante di Gerusalemme, Hebron, Tiberiade e Safed.

Ebrei, cristiani e mussulmani
> Nella loro terra d’origine gli ebrei patiscono, come in Europa, le più gravi sofferenze durante la dominazione cristiana. I primi cristiani ottengono che siano banditi da Gerusalemme e i crociati bruciano vivi nelle sinagoghe gli ebrei della Città Santa. I conquistatori mussulmani saranno generalmente più clementi. Il califfo Omar li lascia vivere relativamente in pace, mentre Saladino permette loro di rientrare a Gerusalemme, dove nella Città Vecchia esiste un quartiere ebraico.
Caratteristico è anche il fenomeno del messianesimo, che conosce un ritorno di fervore in ogni periodo di persecuzione. Mai comunque si è parlato di emigrazione in Palestina. Tali periodi infondono unicamente nuovo slancio ai pellegrinaggi e al soggiorno illimitato in Palestina di ebrei religiosi ed eruditi.
Nei luoghi della Diaspora Israele conosce momenti di autentico splendore, da Babilonia ad Alessandria, da Cordova alla stessa Roma. Ma l’unico paese nel quale gli ebrei poterono condurre un’esistenza quasi normale fu la Spagna del califfato. Gli ebrei della Spagna, i “Sefardim”, costituiscono il più importante e fiorente nucleo ebraico del Medioevo (l’altro, gli “Ashkenazim”, aveva il suo centro principale in Germania). In Spagna, durante il governo illuminato degli arabi, il popolo ebreo prosperò come non ne avrebbe mai più avuto l’opportunità durante tutto il periodo della Diaspora. La riconquista cristiana della Spagna pose fine a questa eccezione. Nel 1492 Ferdinando ed Isabella decretarono l’espulsione dell’intera popolazione ebraica dalla Spagna, seguita nel 1498 da quella dal Portogallo, che si sparsero in tutto il bacino del Mediterraneo, specialmente in Italia e nei domini del Sultano.

Secolo XII-XIII
> Espansione in Europa orientale delle comunità ebraiche di Germania in seguito alle persecuzioni avvenute all’epoca delle Crociate. Nel 1264 Boleslao, re di Polonia promulga per la popolazione ebraica uno statuto improntato alla tolleranza. Nel XIV secolo altra emigrazione verso oriente degli ebrei di Germania, accusati di essere la causa dell’epidemia di peste. Casimiro il Grande li accoglie benevolmente a Cracovia ed in altre grandi città. In Polonia, paese agricolo, gli ebrei vanno a costituire la classe degli artigiani e dei commercianti. Con la scomparsa della Polonia questi ebrei vengono a trovarsi sotto il dominio degli zar, da sempre contrari ad accoglierli.
Seconda metà del secolo XVIII
> Sotto la spinta del movimento pietista hassidico molti seminari rabbinici sono fondati in Palestina. Nel secolo successivo alcune decine di migliaia di ebrei ortodossi si stabiliscono in Terra Santa nelle quattro città sante di Gerusalemme, Hebron, Tiberiade e Safed, vivendo principalmente delle elemosine inviate dai loro correligionari europei. I pii immigranti aschenasi si aggiungono alla minoranza sefardita stabilita nel paese già da molte generazioni, costituendo una colonia di origine spagnola ed orientale che risaliva al medioevo. La piccola comunità ebraica palestinese, che conta 10.000 anime nel 1855, raddoppia nel corso di una generazione.

2. L’EMANCIPAZIONE BORGHESE: IL SIONISMO

Per l’Europa noi costituiremo parte del bastione contro l’Asia, saremo una sentinella avanzata della civilizzazione contro la barbarie.
Theodor Herzl

L’emancipazione dimezzata > Se in Europa occidentale lo sviluppo del capitalismo dapprima favorisce l’assimilazione, ma poi questa incontra un ostacolo nel declino del capitalismo liberista, e il conseguente sorgere del nazionalismo sciovinista e dell’imperialismo, per cui si diffonde il selvaggio antisemitismo delle classi medie schiacciate dalle contraddizioni del capitalismo. Quindi il capitalismo getta le basi per la soluzione del problema ebraico ma non lo risolve.
Infatti in Occidente l’emancipazione inizialmente segue lo sviluppo dell’Illuminismo e sembra realizzarsi pienamente con la Rivoluzione Francese. L’idea di nazione nasce dalla necessità delle borghesie locali di costituire mercati sufficientemente ampi per le loro esigenze di accumulazione. Sotto l’aspetto ideologico tale necessità appare come principio di nazionalità, inizialmente nella forma del concetto illuminista di “contratto sociale”, cioè di una comunità di individui associati dalla volontà di vivere insieme. Ma in seguito, con l’inasprirsi della concorrenza fra borghesie nazionali, ad esso si sostituirà una concezione romantica riferita all’idea di “Volkgeist”. L’affermazione in tale forma del principio di nazionalità determinerà nella società borghese un ritorno dell’antigiudaismo come antisemitismo. L’ideologia di questo moderno anti- giudaismo non muove più dal principio religioso, ma da quello di razza e lingua, per cui anche dopo l’emancipazione gli ebrei continueranno a vivere con ebrei e da ebrei. L’emancipazione non appare più un fatto storico ma diviene un prodotto ideologico della lotta tra le borghesie nazionali, ciò che spingerà gli ebrei all’emigrazione e alla fondazione di uno stato nazionale.
Ma se per gli ebrei dell’Europa occidentale l’emancipazione potè spingersi avanti, in Europa orientale le mura dei ghetti separeranno sempre più gli ebrei dal resto della popolazione. Per cui, la presa di coscienza ebraica in funzione nazionalistica rimane circoscritta al giudaismo dell’est europeo e quali che fossero gli sviluppi dell’idea nazionale ebraica saranno gli ebrei orientali ad esserne i protagonisti, fintanto che la grande collettività americana, peraltro in maggioranza di tale origine, non avrà assunto una sua fisionomia.

1750-1880
> In Prussia ed Austria vengono abrogate in gran parte le misure discriminatorie nei confronti degli ebrei. Nasce la “Haskalah”, corrente illuministica ebraica, fondata da Moses Mendelssohn, che promuove un rinnovamento della letteratura in lingua ebraica. Questa oltre alla sua funzione liturgica è la lingua degli atti giudiziari e delle belle lettere, che produsse una letteratura fiorente nella Spagna moresca.
1791
> 28 settembre. Emancipazione degli ebrei in Francia.
1806
> Il grande Sinedrio, convocato a Parigi su invito di Napoleone, dichiara di voler separare il piano civile da quello religioso.
XIX secolo
> La Palestina non esiste nemmeno come unità amministrativa dell’impero ottomano. Nel 1882 gli ebrei sono circa 23.000 su una popolazione che conta meno di 500.000 abitanti. Le autorità ottomane si oppongono all’immigrazione, ma dal 1882 al 1914 circa 100.000 ebrei emigrano in Terrasanta e 50.000 vi restano. Ciò sarà possibile a causa dell’intervento incessante delle potenze occidentali sotto il regime delle capitolazioni che accorda loro un diritto di ingerenza in ogni questione riguardante le minoranze etniche o religiose, ma anche per la corruzione dell’amministrazione turca. Per questo gli emigranti non rinunciano alla loro nazionalità di provenienza. Tuttavia l’immigrazione ebraica fino al 1870-75 riguarda solo ebrei ortodossi animati da motivi religiosi.
1862
> Moses Hess, che aveva fatto parte insieme a Marx ed Engels del circolo dei Giovani Hegeliani, pubblica “Roma e Gerusalemme, l’ultima questione nazionale”, dove, ispirandosi al Risorgimento italiano e affermando che gli antagonismi nazionali sono la prima tappa per giungere poi alla liberazione sociale, auspica un risveglio nazionale ebraico come premessa ad una emancipazione universalistica. E’ la prima enunciazione di una soluzione politica del problema ebraico.
1881
> L’assassinio dello zar Alessandro II ad opera di elementi rivoluzionari scatena una feroce reazione che prende di mira principalmente gli ebrei. Inizia la grande migrazione verso l’America, dove in vent’anni si trasferiranno 1.500.000 ebrei, dando vita ad una delle più fiorenti collettività ebraiche, la più importante dopo lo sterminio di quella europea. Altri, tra i 20.000 e i 30.000, si dirigono verso la Palestina costituendo la prima (1882-1903) di cinque ondate migratorie (nel linguaggio sionista: alyià, ascensione; si “sale” a Israele, come in passato si diceva dei pellegrini che si recavano in Terra Santa), che fino al 1931 porteranno in Palestina 177.000 ebrei.
1882
> Dopo i pogrom del 1881 Lèon Pinsker pubblica a Berlino “L’autoemancipazione ebraica”, primo manifesto del sionismo politico, che propugna la fondazione di uno stato ebraico, ma non necessariamente in Palestina. Nasce a Varsavia sotto la guida di Pinsker il movimento degli “Hovevè Zion” (Amici di Sion), che entrerà nel movimento sionista di Herzl.
> Gli emigranti della prima ondata possono contare sul sostegno dei circoli “Hovevè Sion”, ma le condizioni climatiche e geografiche sono penose, le autorità ostili e devono difendersi dalle incursioni dei beduini, per cui sono costretti a sollecitare immediatamente aiuti, appello che viene raccolto dal barone Edmond Rothschild, che fonda una società filantropica diventando l’iniziatore della colonizzazione palestinese. In questa prima fase l’emigrazione ha un carattere spiccatamente coloniale. Le colonie agricole di Rothschild sono amministrate burocraticamente con una irregimentazione della manodopera spinta a tal punto da far scoppiare rivolte. Le colonie assumono manodopera araba, trasformandosi in piantagioni coloniali.
> Il barone de Hirsch fonda la “Jewish Colonization Association” che ha lo scopo di fondare colonie agricole in ogni parte del mondo, soprattutto in America. Viene finanziata la fondazione di nuclei esemplari di colonizzazione ebraica in Argentina, senza risultati rilevanti. Nel 1900 assorbe le colonie di Rothschild. Anni 80 dell’Ottocento
> Nelle vicinanze di Giaffa gli Amici di Sion fondano la colonia di Rishon Le-Zion (primo a Sion), e in seguito altre, che radunano complessivamente alcune migliaia di abitanti.
1884
> Le potenze protestano presso l’amministrazione turca contro il divieto di vendere beni immobili agli ebrei stranieri, cioè non naturalizzati. Le misure prese periodicamente dalla Sublime Porta per metter fine alle vendite di terre in favore di ebrei “pellegrini”, cioè indipendenti dall’autorità ottomane, provocano ingerenze della diplomazia europea.
> Conferenza di Kattowitz degli Amici di Sion. Si parla di uno stato d’Israele in Palestina.

Sionismo e colonialismo > Sono 24 i paesi, in America e in Africa, in cui nel risorgimento ebraico si prospettano o vengono attuati tentativi si colonizzazione, ma i fautori dell’emigrazione verso paesi dove la terra abbonda e dove si godrebbe di tranquillità e libertà sono messi in minoranza, poiché si sostiene che solo il miraggio di Gerusalemme potrà sradicare gli ebrei dai loro secolari ghetti. Quindi, in un mondo a quell’epoca percorso da imponenti correnti migratorie, la ritrosia degli ebrei verso l’emigrazione sembra comprovare che la loro aspirazione ad una patria avesse una connotazione essenzialmente religiosa.
La Palestina era allora una provincia araba dell’impero ottomano, ma questa circostanza non appariva come un ostacolo. A quell’epoca i progetti colonizzatori non erano considerati sfavorevolmente, si pensava anzi di portare il progresso a popolazioni arretrate, sia pure a costo di sottometterle, per cui non c’è da stupire se il progetto di colonizzare la Palestina quasi non si curò degli indigeni. I termini di colonia e colonizzazione erano usati senza reticenze dai pionieri del sionismo politico. Allo stesso modo era normale prospettarsi come unica strategia l’accordo con una potenza in cambio dei vantaggi che i coloni avrebbero potuto assicurare. Durante il periodo ottomano i coloni sionisti otterranno importanti previlegi, che prefigurano la loro futura autonomia: stampano una loro moneta e organizzano una loro polizia interna.

Sionisti contro conservatori e modernisti > L’emigrazione sionista si scontra da una parte con gli ortodossi che consideravano sacrilego un movimento che negava l’attesa liberatrice del Messia. Fra questi un ruolo particolare hanno gli ebrei autoctoni, il “vecchio yishuv”, rispetto ai quali il sionismo sarà responsabile dell’alienazione del loro ambiente culturale e storico, rispetto al quale erano vissuti sempre in armonia, frattura che si può ritenere completa con gli incidenti di Hebron del 1929. Ma dall’altra il sionismo si scontra con i modernisti, spesso di idee socialiste, che denunciano il carattere retrogrado del nazionalismo ebreo, mentre altri ancora, i fautori del rinnovamento culturale, ritengono che nella Palestina debba sorgere solo un centro spirituale.
Uno di questi ultimi, Eliezer ben Yehuda, propugna l’uso dell’ebraico (ivrit) nella vita quotidiana in concorrenza con l’yiddish, considerato la lingua del ghetto, scandalizzando gli ortodossi con un uso profano di una lingua considerata sacra. Altri sosterranno l’yiddish, che conoscerà un profondo rinnovamento testimoniato da una copiosa produzione letteraria.

1895
> gennaio. Theodor Herzl assiste alla degradazione pubblica di Alfred Dreyfus, ufficiale ebreo ingiustamente condannato per tradimento. Di fronte a tale scena Herzl comprende che l’antisemitismo non si sarebbe mai spento e che nel secolo degli stati-nazione gli ebrei, vittime del nazionalismo, sarebbero sopravvissuti solo alla condizione di divenire essi stessi una nazione.
1896
> Viene pubblicato “Der Judenstaat” (Lo stato degli ebrei) di Theodor Herzl, che prospetta la fondazione in Palestina di uno stato laico e sociale.
1897
> 29 agosto. Si riunisce a Basilea il I Congresso Sionistico, cui partecipano 264 delegati di 20 paesi, di cui molti esponenti degli Amici di Sion. Si dichiara che l’obbiettivo del sionismo è “assicurare al popolo ebraico un focolare in Palestina, garantito dal diritto pubblico”. Per raggiungere lo scopo si raccomanda: (1) l’incoraggiamento sistematico della colonizzazione della Palestina; (2) l’organizzazione di tutto il giudaismo mediante società locali e federazioni generali; (3) iniziative volte ad ottenere il consenso dei governi; (4) rafforzamento della coscienza nazionale ebraica. Vengono decise la fondazione dell’Organizzazione Ebraica, struttura ideologica del movimento, e la “Jewish Colonial Trust” (Banca Coloniale Ebraica), poi dal 1901 Fondo Nazionale Ebraico, organo finanziario finalizzato all’acquisto di terre, i cui beni diverranno proprietà inalienabile del popolo ebraico. Ad esso si affiancherà la “Jewish Agency”, l’organo tecnico, istituita all’epoca del Mandato.
> Viene fondata a Vilnius la “Allgemeiner yiddisher Arbeiterbund” (Unione generale ebraica degli operai di Lituania, Russia e Polonia) o “Bund”, che rivendica, oltre il carattere di nazionalità della collettività ebraica, i diritti civili e politici, ponendo la lotta contro il capitalismo come alternativa al sionismo, cioè all’emigrazione, programma quest’ultimo che tuttavia prevarrà.
1899
> Basilea, III Congresso Sionista. Herzl dichiara che “i nostri sforzi sono diretti ad ottenere dal governo turco un ‘charter’ (statuto), sotto la sovranità del Sultano. Solo quando saremo in possesso di questo, che deve contenere le necessarie garanzie di diritto pubblico, potremo iniziare una grande colonizzazione”. Il progetto incontra l’opposizione degli ortodossi in quanto all’istituzione di un centro spirituale viene sostituita quella di una compagnia privilegiata.
1901
> dicembre, Basilea. V Congresso Sionista, dove, viene decisa la fondazione del “Keren Kayemet Leisrael”, o KKL (Fondo Nazionale ebraico), sovvenzionato da collette, allo scopo di centralizzare l’acquisto di terre che divengono proprietà inalienabile del popolo ebraico, e concesse con contratto d’affitto ereditario ai coloni, con l’impegno di non impiegare manodopera araba. Nasce così la “colonizzazione operaia”. Il congresso si pronuncia in favore dell’uso della lingua ebraica in Palestina.
1902
> Herzl incontra Chamberlain, ministro delle colonie di Gran Bretagna, che ”non respinge l’idea di fondare nell’angolo sudorientale del Mediterraneo una ‘selfgoverning jewish colony’ “. Sono prese in considerazione Cipro e il Sinai insieme all’ipotesi ulteriore dell’Uganda. E’ da questo momento che si instaurano tra la Gran Bretagna e l’Organizzazione sionista i rapporti che porteranno più tardi alla Dichiarazione Balfour.
> Trattative della Gran Bretagna con l’Egitto per il territorio di El Arish, che falliscono per il rifiuto del vicerè egiziano.
1903
> Seconda ondata di violenze antisemite in Russia. Offerta da parte del governo inglese di un territorio in Uganda, che al VI Congresso sionista incontra una forte opposizione dai delegati russi sostenitori di un ritorno in Palestina.
> Fondazione in Austria-Ungheria del partito sionista di sinistra “Poalè Zion” (Operai di Zion), che aderirà all’Internazionale socialista, il cui principale teorico è Ber Borochov. Contrariamente ai socialisti ebrei del Bund i sionisti di sinistra non credono alla lotta di classe, e pongono la soluzione dei conflitti di classe in una futura Palestina ebraica, ove la struttura di classe sarà trasformata. Ma i lavoratori ebrei sono spesso occupati in imprese ebraiche per cui il sionismo produce una conciliazione fra le classi nella comunità ebraica. Tuttavia il sionismo di sinistra avrà nella rivoluzione russa un ruolo rivoluzionario, con la partecipazione di una unità sionista, il “Reggimento Borochov”, alle battaglie dell’Armata Rossa.
1904
> Morte di Herzl.
1905
> Sollevamento rivoluzionario in Russia il cui fallimento produce nuove persecuzioni, dalle quali prende avvio la seconda ondata migratoria (1904-1914), che farà entrare in Palestina 40.000 ebrei su un totale di mezzo milione che fuggirono dall’Europa orientale dirigendosi soprattutto verso gli Stati Uniti. A differenza della prima ondata, non sionista, questa si fa portatrice della problematica socialista, e farà del lavoro il vero protagonista dell’emigrazione. I nuovi immigranti si accorgono che le colonie ebraiche erano tali solo di nome in quanto in rapporto a poche decine di lavoratori ebrei vi erano centinaia di arabi. Secondo il meccanismo coloniale classico le terre ebraiche sono lavorate da contadini arabi senza terra, notevolemente aumentati in seguito agli acquisti di terre effettuati dagli ebrei. Costernati dalla svolta assunta dalla colonizzazione i sionisti decideranno di salvare la colonia reintroducendo il lavoro ebraico. Tale scelta determina la creazione di una classe operaia ebraica, ma ciò significa un’economia ebraica che esclude gli arabi al fine di proteggere l’occupazione degli immigrati. I coloni proprietari si opporranno a tale politica ponendo in evidenza l’esistenza di due concezioni divergenti del sionismo, quella del colonialismo puro dei coloni, e la via della conquista del lavoro sostenuta dai lavoratori ebrei. L’ala sinistra del sionismo avrà il sopravvento e la “colonizzazione operaia” diventerà l’orientamento predominante, e ciò grazie ai finanziamenti sionisti, dei quali una delle funzioni principali sarà quella di annullare la differenza salariale tra ebrei ed arabi, integrando i salari dei primi. Quindi l’operaio sionista caccerà il fellah dalle colonie agricole.
> VII Congresso sionista, in cui viene accantonata definitivamente la prospettiva dell’Uganda in favore della Palestina.
> Si moltiplicano e si approfondiscono i dissensi interni. I sionisti “pratici”, sostenitori della colonizzazione immediata senza attendere lo “statuto”, si oppongono al sionismo “politico”. I “territorialisti” non ritengono indispensabile che lo stato ebraico venga fondato in Palestina e alcuni dissidenti, sotto la direzione dello scrittore Israel Zangwill, fondano la “Jewish Territorial Organization” allo scopo di trovare un territorio qualsiasi, prendendo in considerazione la Tripolitania. Già nel 1903 si era staccato dagli Operai di Sion il partito del Sionisti Socialisti che in seguito adotteranno la denominazione di Socialisti Territorialisti, che nel corso della rivoluzione d’ottobre confluiranno nel PCUS.
> I giovani pionieri sionisti, influenzati dai populisti russi, fondano in Palestina sotto la guida del sionista tolstoiano Aaron David Gordon, il “Ha-Poèl ha-­Zair” (“Il Giovane Operaio”), predicando il ritorno alla terra. Dalla fusione di tale partito con il “Poalè Sion” nascerà la socialdemocrazia sionista, cioè il partito MAPAI.
1907
> VIII Congresso sionista. La Frazione Democratica di Chaim Weizmann critica il sionismo politico di Herzl. Secondo tale corrente lo statuto politico non può costituire il fondamento dello stato ebraico, ma solo il primo passo verso di esso, poiché “I governi ci ascolteranno soltanto quando constateranno le nostre concrete capacità di possedere il territorio palestinese”, possesso ottenuto con l’acquisto dei terreni e con il lavoro.
> Si costituisce la “Hashomer”(Guardia), milizia ebraica, con la parola d’ordine: “la proprietà ebraica deve essere protetta da ebrei”.
1908
> Appaiono i primi villaggi cooperativi (moshav).
> La rivoluzione dei “Giovani Turchi” porta ad una intensificazione degli incidenti tra agricoltori arabi ed israeliani, scontri di natura economica. Il “kaymakam” (vicegovernatore) di Tiberiade autorizza la formazione di una guardia ebraica.
> Il nazionalista Sciukry Bey pone in risalto il pericolo di ingerenza politica sionista: i sionisti hanno la loro bandiera, il loro inno nazionale, si guardano bene dal naturalizzarsi per valersi all’occorrenza dell’aiuto dai consoli, si armano.
1909
> Fondazione di Degania (Fiordaliso) sul lago di Tiberiade, il primo “kibbutz” (colonia collettivista). Tali colonie sono caratterizzate dalla totale socializzazione dei mezzi di produzione e dei beni di consumo, e da una sviluppata democrazia interna. Ciò però riguarda solo i membri interni, non i salariati della colonia.
1913
> Negoziati segreti tra sionisti e autorità turche nei quali i primi offrono un sostegno finanziario all’impero, i secondi intendono premunirsi contro un risveglio nazionale arabo. Costantinopoli, per conciliarsi i favori dell’Organizzazione sionista, autorizza trasferimenti di terre agli ebrei. Ma l’espulsione dei fellahin dalle terre porta a una generalizzazione degli attacchi popolari alle colonie ebraiche.
1914
> Scoppia la prima guerra mondiale. La popolazione ebraica in Palestina ammonta a 85.000 abitanti su 730 mila, organizzati in una cinquantina di colonie per un totale di 40.000 ettari di estensione. Di essi i coloni sono 12.000, e impiegano circa 5.000 salariati arabi. Il 90 per cento degli immigrati ebrei della seconda ondata ha lasciato il paese, non potendo sostenere le difficili condizioni di vita. Fondazione di Tel Aviv.
1915
> Joseph Trumpledor, ufficiale zarista ebreo, e Vladimir Jabotinskij, futuro fondatore dell’Irgun, costituiscono gli “Zion Mule Corps” (Corpo mulattieri di Sion) di 900 effettivi, che prendono parte con le forze dell’Intesa all’impresa di Gallipoli, in seguito incorporati nell’esercito inglese come due battaglioni ebraici. Jabotinskij organizza negli Stati Uniti una Legione Ebraica di quattro battaglioni, destinata a combattere a fianco degli inglesi.

Il sionismo e la guerra
> Nel corso della guerra il movimento sionista opta per una posizione di neutralità nel timore di esporre a rappresaglie la colonia palestinese. Ma nel corso della guerra il si trova diviso tra nazioni contrapposte. La frazione russa in odio allo zarismo si augura una vittoria degli imperi centrali, mentre gli ebrei tedeschi sono convinti sostenitori dello sforzo bellico della nazione. L’organizzazione sionista tedesca costituisce un “Comitato per la liberazione degli ebrei russi”, considerato dal governo “un preziosissimo strumento di spionaggio e di sovversione nei paesi stranieri, e specialmente in territorio russo”, che comincia ad operare tra gli ebrei di Polonia. Max Bodenheimer, presidente del Fondo Nazionale Ebraico, presenta una proposta particolareggiata per l’integrazione di una entità nazionale ebraica nella “Mitteleuropa”, lo stato pluralistico che la Germania costituirebbe dopo la vittoria.

3. I DUE NAZIONALISMI: SIONISMO E UNITA’ ARABA

Mactub! (era scritto)
Esclamazione araba di fronte alla disdetta

Nazionalismo e colonialismo in Medio Oriente
> A quel tempo fuori dell’Europa il sentimento nazionale era quasi inesistente. Essere governati da sovrani stranieri era considerato normale. Molto più importante appariva la comunanza religiosa tra sovrano e sudditi. Con la colonizzazione l’influsso culturale dell’Europa si fece più forte, penetrando prima negli ambienti ricchi e colti, poi nelle stesse masse diseredate. Così l’Europa apportava, insieme ad una nuova scienza e una nuova tecnologia, un nuovo modello di vita politica e sociale, lo stato nazionale, dove i sudditi potevano ricevere un’istruzione e partecipare al governo dello stato. Modello che da una parte sembrava associato alla sua potenza economica e militare, e dall’altra rendeva il dominio europeo ancora più intollerabile.
In Medio Oriente due sono i centri che, nel corso dei primi decenni del XIX secolo, diedero impulso ad un processo di riforma in senso occidentalizzante: Turchia ed Egitto. Successivamente il fenomeno si estende a quella parte dell’impero ottomano che più aveva contatti con l’Occidente, la regione libanese della Siria.
Il risveglio arabo non ha nulla di antisemita: come ogni movimento della borghesia nella fase ascendente porta con sé la grande idea della eguaglianza degli esseri umani.

1798
> Napoleone sbarca in Egitto: inizia le crisi dell’impero ottomano e del mondo arabo.
1805
> In Egitto Mehemet Alì si rivolta contro Costantinopoli e ponendosi l’obbiettivo della modernizzazione fa venire nel paese tecnici francesi.
1830
> Occupazione francese dell’Algeria.
1839
> Occupazione inglese di Aden
1864
> In seguito a massacri di cristiani maroniti da parte dei drusi, il Libano ottiene uno statuto di autonomia garantito dalle grandi potenze sotto l’egida della Francia. Giungono missionari gesuiti francesi, cercando di legare le classi dirigenti cristiane alla Francia, dalle quali usciranno i pionieri del nazionalismo arabo.
1876
> 23 dicembre. Di fronte all’atteggiamento minaccioso del partito dei Giovani Ottomani, guidato da Midhat Pascià, il sultano Abd ul-Amid II concede la costituzione, ma poco dopo, sciolto il parlamento, torna a regnare come sovrano assoluto.
1881
> Creazione di un protettorato francese in Tunisia. Ha inizio tra le potenze europee la corsa alla spartizione del mondo, in particolare quello arabo.
1882
> Gli inglesi occupano “temporaneamente” l’Egitto.
1908
> Rivoluzione del partito dei Giovani Turchi, che costringe il sultano Abd ul-Amid II a ripristinare la costituzione.
1911
> La Francia si impadronisce in Marocco di Fez e Meknès, provocando la reazione della Germania che sbarca le sue truppe ad Agadir. Accordo tra Francia e Germania il 4 novembre, secondo il quale la Francia acquisisce nella sua sfera di influenza il Marocco rinunciando al Congo.
1911
> 29 settembre. Inizio della guerra italo-turca che termina il 18 ottobre dell’anno seguente con l’annessione da parte dell’Italia della Libia e del Dodecanneso.
1912
30 marzo. Viene istituito il protettorato francese sul Marocco.
1913
> In Palestina da parte araba vengono fatti dei sondaggi verso i dirigenti sionisti al fine di creare un fronte unico contro gli ottomani.

Politica della Gran Bretagna
> La Gran Bretagna porta avanti una politica di sostegno dell’integrità di quanto rimane dell’impero ottomano dopo la perdita dell’Africa settentrionale e dei Balcani, in quanto migliore garanzia contro l’affacciarsi della Russia nel Mediterraneo, o contro una sua avanzata verso l’India attraverso il Golfo Persico. Con lo scoppio della prima guerra mondiale tale politica deve mutare e la Gran Bretagna si accorda con Francia e Russia sulla futura spartizione dell’impero ottomano, ma pressata dalle necessità della guerra in corso, per minarlo dall’interno, promette di tenere conto dei diritti delle nazionalità in esso comprese, - araba, sionista, armena e curda, - nel nuovo assetto del Medio Oriente.

1915
> luglio-ottobre. In uno scambio di note tra il suo rappresentante in Egitto, sir Henry MacMahon e la più alta autorità religiosa mussulmana, lo “Sharif al-Kebir” (Grande Signore) di La Mecca Hussein della dinastia Hashemita, la Gran Bretagna promette agli arabi, come contropartita d’una rivolta contro i turchi, la costituzione di un loro grande regno indipendente. Si tratta di una promessa equivalente a quella che verrà fatta da lord Balfour agli ebrei.
1916
> 16 maggio. Negoziato da sir Mark Sykes e Jaques-George Picot, viene firmato l’accordo di spartizione dell’impero ottomano tra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna cede alla Francia, come compensazione per il riconoscimento delle aspirazioni russe su Costantinopoli e l’Armenia, una parte del territorio già promesso agli arabi, cioè la Siria e il Libano, mentre la Palestina viene internazionalizzata.
> 6 giugno. Inizia la rivolta dagli arabi guidati dall’emiro Feisal, figlio dello sceriffo di La Mecca Hussein, e da Lawrence d’Arabia contro l’impero ottomano.

Colonizzazione ebraica e proprietà fondiaria > Gli ebrei della Diaspora non s’immaginavano la Palestina che in una visione biblica. Che quella terra potesse essere abitata da un altro popolo pronto a difendere i suoi diritti in quanto nazionalità era per loro una scoperta incresciosa. Herzl non menziona gli arabi in nessuno dei suoi discorsi e nei suoi scritti confina il problema arabo in secondo piano. Nei quali così egli si esprime in una visione paternalistica: “Una vecchia e nuova terra, una comunità non limitata ad una sola lingua, una cooperazione unanime in virtù di una civilizzazione più nobile e più alta di quelle finora conosciute. Una nuova società che farà in modo che gli arabi della Palestina accettino benevolmente gli ebrei, i quali li risveglieranno dal loro letargo secolare”.
L’immigrazione si inserisce in una situazione già in piena crisi, in concomitanza con la penetrazione capitalistica nell’impero ottomano. Fino al 1860 praticamente tutta la terra è proprietà comune (mesha’a) dei villaggi, sottoposta a ripartizione periodica, e dei beduini nomadi. Tale proprietà collettiva tribale già sotto pressione ottomana viene trasformata in proprietà individuale con il Codice della proprietà fondiaria del 1858, che procede alla espropriazione delle terre incolte e impone una tassa di registrazione e una imposta in denaro. Incomincia a formarsi una classe di contadini piccoli proprietari, ma soprattutto, permettendo alla borghesia locale, gli “effendi”, di effettuare numerosi acquisti di terre, con tale legge viene creata una classe di proprietari assenteisti, che affittano le terre ai contadini stessi espropriati. In questo modo viene introdotta forzosamente l’economia monetaria.
Influenzati dal marxismo anche i pionieri sionisti sognano di costruire uno stato nel quale la tradizione giudaica si confonda con l’istituzione di una vera democrazia sociale. Uno dei concetti fondamentali è quello di una redenzione della razza ebraica mediante un ritorno al lavoro manuale, di una purificazione della mentalità dei ghetti. Però, mentre acquistano grandi proprietà terriere, quasi sempre da latifondisti residenti a Beirut, fino ad arrivare a possedere al momento della creazione di Israele l’otto per cento del territorio, i sionisti ne espellono i coloni arabi per insediarvi quelli ebrei, e il sindacato, l’Histadrut, obbliga le imprese ebraiche ad assumere solo operai ebrei. Il risultato sarà la compartimentazione del paese in due economie separate, una ebraica, l’altra araba, con differenze considerevoli per il livello dei salari, degli investimenti e della produttività, e anche di apertura al mercato, poiché gran parte dell’agricoltura araba è finalizzata all’autoconsumo. Pertanto la comunità ebraica agisce come se occupasse da sola la Palestina, e al contempo il proprio livello di vita e di istruzione la spinge a considerare come inferiore quella araba.
Sorgono i primi comitati di agitazione arabi. I contadini per sfuggire all’espropriazione fanno dono dei loro campi alle istituzioni religiose, e così possono opporsi ai latifondisti e ai nuovi proprietari, in quanto, per tradizione religiosa, esplicita anche nel Corano, la terra delle moschee e delle scuole coraniche (wakf) appartiene alla comunità ed è inalienabile quando la comunità viene danneggiata dalla vendita.

> Durante la prima guerra mondiale le operazioni belliche determinano una fuga degli ebrei dalla Palestina. Molti di essi si rifugiano in Egitto, mentre altri, sudditi degli imperi centrali, abbandonanno la Palestina all’arrivo degli inglesi. La popolazione ebraica in Palestina diminuisce fino a 57.000 abitanti, ed è ridotta in miseria.
1917
> 6 aprile. Entrata in guerra degli Stati Uniti.
> 18 luglio. I sionisti presentano un progetto di dichiarazione in cui si parla di “riconoscimento della Palestina come ‘il’ focolare nazionale del popolo ebraico”.
> 24 ottobre,. La rivoluzione d’ottobre fa cadere le barriere divisorie che nel regime zarista avevano fatto degli ebrei dei sudditi in condizioni di inferiorità, e li emancipa come individui e come collettività. Vengono costituite cooperative artigianali e collettività agricole (Ucraina e Crimea), si formano soviet ebrei. In seguito verranno fatte concessioni al nazionalismo ebraico concedendo lo statuto di regioni autonome a colonie ebree di Cherson, Dnepropetrovsk e Crimea (1931), e soprattutto dando vita ad un territorio autonomo nella regione asiatica del Birobigian (1928), al confine con la Manciuria, decisione questa ispirata dal desiderio di combattere le correnti sioniste in Unione Sovietica, regione in cui si insediano nel corso degli anni trenta 40.000 ebrei. Poi, con la degenerazione della spinta rivoluzionaria rinasce l’antisemitismo e dal 1938 in poi una politica di repressione, mirante ad una assimilazione forzata, si abbatte sulla popolazione ebraica. I dirigenti del Birobigian sono fucilati.
> 2 novembre. Il ministro degli esteri inglese Balfour, sotto la forma di una lettera a Lord Lionel de Rothschild, sottoscrive una dichiarazione secondo la quale “Il governo di sua Maestà considera con favore la creazione in Palestina di un focolare nazionale (a national home) per il popolo ebraico, e metterà in atto i suoi migliori sforzi per facilitare il raggiungimento di tale obbiettivo, chiaramente intendendo che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche residenti in Palestina, o i diritti e lo statuto politico di cui godono gli ebrei in ogni altro paese”. Tale dichiarazione per evitare reazioni da parte del nazionalismo arabo ridimensiona le richieste sioniste, ma costituisce lo statuto sognato da Herzl, e viene preventivamente approvata dal presidente Wilson e successivamente dal governo francese il 14 febbraio1918 e da quello italiano il 9 maggio1918.

La dichiarazione Balfour > Frutto di laboriose trattative tra autorità britanniche e sionisti, la Dichiarazione Balfour ha lo scopo di attirare nell’orbita dell’Intesa gli ebrei delle potenze centrali, dato che la propaganda tedesca si serve abilmente della promessa di liberare le masse ebree dal giogo zarista. Inoltre chiede loro come contropartita di sostenere negli Stati Uniti e in Russia la politica della Gran Bretagna, soprattutto in rapporto all’obbiettivo di ottenere dalla Società delle Nazioni, in concorrenza con la Francia, un mandato sulla Palestina, sulla quale la Gran Bretagna ha particolare interesse in quanto base a protezione del Canale di Suez e della rotta per le Indie, in alternativa all’Egitto. Weizmann assume il controllo del movimento sionista

> 9 dicembre. Gli inglesi occupano Gerusalemme. Quando essi entrano in Palestina quasi tutta la gioventù ebraica delle colonie e un gran numero di giovani delle città si presentano volontariamente per arruolarsi nel battaglione ebreo.
1918
> giugno. Weizmann e Feisal si incontrano trovandosi d’accordo sull’idea che in Palestina gli interessi degli ebrei e quelli degli arabi potevano coincidere, e l’operato dei primi poteva arrecare al paese un notevole progresso.
> settembre-ottobre. Le truppe arabe, guidate da Feisal, occupano Damasco. Feisal è proclamato “re degli arabi”.
> 30 ottobre. Armistizio di Mudros, crollo dell’impero ottomano, evento che pone la questione delle nazionalità in esso comprese, in particolare quella araba. Gran Bretagna e Francia, mancando agli impegni presi da durante il conflitto mondiale, prendono il posto dei turchi come potenze dominanti in Medio Oriente. La loro concorrenza insieme alla politica del “divide et impera” porterà alla “balcanizzazione” dell’area.
1919
> 3 gennaio, Parigi. Weizmann e Feisal, facendo fronte comune contro i franco-britannici, si incontrano nuovamente confermando la loro intenzione di procedere in stretto accordo per lo sviluppo di uno stato arabo unitario della Palestina, dove Feisal s’impegna a prendere “ogni provvedimento per garantire la completa esecuzione e applicazione pratica della dichiarazione del governo inglese del 2 novembre 1917” (articolo III), come pure per “incoraggiare e stimolare l’immigrazione si larga scala degli ebrei“ (articolo IV). Si profila la creazione di una Palestina arabo-israeliana come contropartita da parte israeliana del riconoscimento di una nazione araba indipendente.
1919
> 18 gennaio, Parigi. Si apre a Versailles la Conferenza di pace, dove viene approvato l’ipocrita istituto del mandato, forma edulcorata di colonialismo. I sionisti presentano il 3 febbraio un memorandum in cui chiedono che, in virtù del “diritto storico” degli ebrei sulla Palestina, il diritto di “ricostruirvi un focolare nazionale” e propongono la Gran Bretagna come potenza mandataria, e si suggeriscono una serie di provvedimenti in vista di un “insediamento sistematico” e una “coltivazione intensiva”.
> luglio, congresso siriano a Damasco, nel quale viene respinta la balcanizzazione del paese, e pur riconoscendo i diritti dei loro “compatrioti ebrei”, respingono le pretese sioniste.
> settembre. Feisal è costretto ad accettare il mandato francese sulla Siria.
> Amsterdam. In una risoluzione del Congresso dell’Internazionale socialista si dichiara che: “il socialismo riconosce il diritto del popolo ebraico di edificare un focolare nazionale in Palestina … sotto il controllo della Società delle Nazioni che veglierà che siano rispettati i diritti degli altri abitanti del paese”.
1920
> chiamato dagli arabi ‘l’anno della catastrofe’ (am an-nakba) > 7 marzo. Con l’appoggio della Gran Bretagna il Congresso Nazionale Siriano, opponendosi alle mire francesi, proclama l’indipendenza di uno stato siriano unificato, la Grande Siria, - comprendente Siria, Libano, Giordania e Palestina - eretto a monarchia costituzionale sotto re Feisal, della dinastia Hashemita. Vengono respinte le “rivendicazioni sioniste tese a stabilire uno stato ebreo nel sud della Siria”, nonché “ogni forma di immigrazione ebraica”, annullando l’accordo che Feisal aveva preso con Weizmann. Un convegno di nazionalisti dell’Iraq, sceglie Abdullah, fratello di Feisal, come re dell’Iraq.
> marzo. Il generale Gouraud invia un ultimatum a re Feisal ingiungendogli di rispettare gli accordi. Poi, di fronte al suo temporeggiare, le truppe francesi marciano su Damasco, l’occupano e lo espellono dalla Siria.
> Conferenza di funzionari britannici al Cairo sotto la presidenza di Winston Churchill, segretario per le colonie, dove viene deciso di assegnare il regno dell’Iraq a Feisal e, separato dalla Palestina, l’emirato di Transgiordania, poi regno, ad Abdullah, suo fratello, cui viene tolto l’Iraq.
> 25 aprile, San Remo. Senza attendere la convocazione della Società delle Nazioni, unica sede competente, le potenze si spartiscono i mandati. Iraq, Palestina e Transgiordania (ancora unite) passano sotto mandato britannico, con una clausola che prevede l’applicazione della dichiarazione Balfour. La Siria con il Libano separato divengono mandati francesi.
> 20 luglio. II Congresso dell’Internazionale Comunista, nelle ”Tesi sulla questione nazionale e coloniale” si dichiara che “il sionismo in Palestina, con il pretesto di fondare uno stato ebraico in questo paese dove i lavoratori ebrei sono in numero insignificante, ha consegnato la popolazione autoctona dei lavoratori arabi allo sfruttamento inglese”.
1922
> 28 febbraio. In Egitto di fronte ad un lungo movimento di resistenza passiva la Gran Bretagna con la “Dichiarazione d’Egitto” abroga unilateralmente il protettorato e accorda l’indipendenza al paese, condizionata però al mantenimento di alcune guarnigioni e al controllo della politica estera.
1925
> Rivolta dei drusi in Siria, appoggiata dai nazionalisti che rivendicano l’unità della Siria e l’indipendenza sotto Feisal. Damasco viene occupata ma l’insurrezione è domata l’anno successivo. In essa emerge la figura di al-Kaukji.
1936
> 26 agosto. In seguito a continue manifestazioni e anche attentati contro funzionari e soldati inglesi, si giunge alla firma di un nuovo trattato tra Egitto e Gran Bretagna, con il riconoscimento della sovranità ed indipendenza dell’Egitto, e in particolare della facoltà del giudice egiziano di giudicare i residenti stranieri. L’occupazione militare è limitata alla zona del Canale, ma viene mantenuto il diritto di sorvolo sul territorio egiziano.
> 9 settembre. Trattato tra Francia e Siria in cui viene promessa l’indipendenza entro tre anni. Levata di scudi in Francia contro il trattato. Il generale Weygand dichiara: “Le responsabilità morali della Francia sono troppo grandi perché le si abbandoni, poiché vi è il Gebel druso, la montagna alauita, i beduini del deserto, … E noi dobbiamo restare laggiù e assicurare la pace con la nostra sola presenza.” Il trattato non verrà mai sottoposto alla ratifica del parlamento.

4. IL MANDATO

E’ bene che la qualità di capo non derivi dalla carica che si ricopre. Voi vi illudete se credete che allontanandomi dalla carica riterrete di avermi allontanato anche dal popolo.
Haji Amin Husseini, Gran Muftì di Gerusalemme, agli inglesi che gli presentano il decreto di destituzione.

Situazione sociale > In Palestina la popolazione araba conduce vita precaria sulle colline, la costa malarica è poco popolata e coltivata, mentre la parte meridionale è desertica. La struttura sociale è di chiara impronta feudale, con relativa estensione del latifondo e prevalenza delle culture a pascolo. L’aristocrazia è divisa da una rivalità tradizionale tra le grandi famiglie, tra le quali spiccano gli Husseini e i Nashashibi. La grande maggioranza della popolazione è costituita dai “fellahin”, i contadini, in parte piccoli proprietari, ma impegnati soprattutto come braccianti o con contratti a mezzadria nel latifondo.
L’introduzione degli istituti democratici in un paese feudale, il miglioramento delle condizioni di vita, l’esempio del combattivo sindacalismo ebraico, non potevano non risvegliare fermenti di progresso e volontà di emancipazione nella popolazione araba, specialmente nei “fellahin”. Ma per gli stessi motivi doveva diffondersi nei latifondisti il sospetto per il nuovo, che si traduceva in termini di xenofobia e di guerra santa. Tendenze che infine prevalsero, in quanto il nazionalismo impediva l’emersione delle contrapposizioni di classe, come anche nel campo avverso. Tuttavia, già alla fine della guerra sorgono comitati per diffondere le rivendicazioni nazionali e opporsi al progetto di un focolare nazionale ebraico. Tale movimento si caratterizza in un primo periodo con moti antiebraici, trascurando di dirigersi contro l’imperialismo britannico e i suoi alleati feudali. Solo in un periodo successivo prende di mira direttamente la presenza britannica, e suscita la formazione di diversi partiti politici, che sono in realtà feudi delle grandi famiglie, che se ne servono per le loro dispute.

Correnti del sionismo
> Nel sionismo è presente una vasta gamma di posizioni: i moderati della Berit Shalom (Lega per la Pace), fondata nel 1925, sono disposti ad accettare una limitazione all’immigrazione e una posizione minoritaria in Palestina, l’estrema sinistra propugna la solidarietà di classe tra operai arabi ed ebrei, i liberali di Weizmann si dichiarano per l’assoluta parità tra le due popolazioni, mentre il movimento revisionista, fondato da Jabotinskij nel 1925, esige la revisione del mandato, la creazione di una Legione Ebraica e la realizzazione di un Grande Israele sulle due rive del Giordano.

La politica della Gran Bretagna
> Sarà tesa innanzitutto a rafforzare il suo ruolo di mediatrice appoggiando ora i sionisti ora i nazionalisti arabi, contrapponendo gli uni agli altri secondo la politica coloniale del “divide et impera”. Il sionismo dirotterà il sentimento antimperialistico degli arabi contro pochi immigranti ebrei, diaframma ideale interposto tra colonizzatore e colonizzato.

1918
4 aprile. Arriva in Palestina una commissione sionista internazionale guidata da Chaim Weizmann, rappresentante l’Organizzazione sionista, con il compito di consigliare le autorità britanniche in tutte le questioni concernenti gli ebrei e la costituzione di un focolare nazionale. La commissione esige per la Palestina una bandiera ebraica, la denominazione sionista di “Eretz Israel”, la presenza di una guarnigione ebraica e il diritto di controllo su ogni misura politica presa dall’amministrazione militare. La commissione accresce i suoi effettivi e organizza una vera e propria amministrazione parallela, così che il governo militare chiede a Londra di far rientrare la commissione che si comporta come un vero e proprio governo. Gli attriti principali nascono per l’insistenza dei dirigenti sionisti per mantenere una forza armata ebraica. I generali Money, amministratore della Palestina, e Clayton, capo dell’ufficio politico del Cairo, suggeriscono un ripensamento della Dichiarazione Balfour, ma vengono rimossi.
1919-1923
> La rivoluzione d’ottobre e la speranza di realizzare il sionismo portano alla terza ondata migratoria, costituita da 35.000 individui provenienti in massima parte dalla Polonia e dalla Russia, animati da una volontà di realizzare innovazioni quali avevano assistito nei loro paesi d’origine.
1919-20
> Sotto la direzione di Jabotinskij i sionisti organizzano unità di autodifesa: il partito socialdemocratico “Hakhdut Haavoda” organizza il primo nucleo della futura Haganah. L’armamento dei coloni si effettua in parte a spese dell’amministrazione britannica.
1920
> 1° luglio. In Palestina il governo militare viene sostituito dall’amministrazione civile e viene nominato alto commissario della Palestina Herbert Samuel, ebreo e attivissimo sionista, uno degli artefici della Dichiarazione Balfour, che appena nominato prende una serie di provvedimenti destinati a favorire la colonizzazione sionista, fra le quali il riconoscimento del KKL come associazione di pubblica utilità. Ciò provoca il risentimento degli arabi e i primi attacchi organizzati contro gli ebrei: una sommossa a Gerusalemme, diretta da Amin al-Husseini, e un’altra nel Nord del paese con l’episodio di Tel Hai, dove perde la vita Trumpeldor. Si pone la questione araba. Viene fondata a Haifa la “Histadrut haklalit scel haovdim haivrim beeretz Israel” (Confederazione Generale dei Lavoratori Ebrei in Terra d’Israele) che dà nuovo impulso alle organizzazioni collettivistiche (kibbuzzim), creando una rete di istituzioni e servizi pubblici e controllando l’Haganah. Si tratta di un sindacato a base etnica, finalizzato a promuovere il lavoro ebraico e anche la vendita di prodotti ebraici a detrimento della produzione araba, che con i suoi bassi prezzi fa loro concorrenza, organizzando quindi sia il boicottaggio delle merci arabe che il picchettaggio contro gli operai arabi. Inoltre viene bloccato ogni sciopero che possa nuocere ai progressi del sionismo. Contemporaneamente viene sviluppandosi il movimento cooperativo, attraverso l’assegnazione di terra a singoli affittuari e l’uso collettivo dei mezzi di produzione e dei principali servizi (moshav ovedim).
> dicembre, Haifa. Si tiene il congresso costitutivo del movimento arabo per la Palestina, in cui viene eletto un Esecutivo Arabo, che diviene un feudo del clan degli Husseini.
1921
> 1° maggio. Scoppiano disordini, la cui responsabilità viene attribuita al MOPS, nucleo del futuro partito comunista ebraico, i cui dirigenti sono deportati.
> Viene nominata la commissione Haycraft, che deve stendere un rapporto sulle cause dei disordini in Palestina.
1922
> 3 giugno. Viene pubblicato il “Libro Bianco” (White Paper) o “Memorandum Churchill”, che segna un parziale ripensamento della Gran Bretagna, preoccupata della reazione araba, rispetto alla dichiarazione Balfour, della quale si dà una interpretazione restrittiva. La “sede nazionale” diviene “un centro al quale il popolo ebraico possa interessarsi sul piano della religione e della razza”, né si sarebbe prospettata in alcun caso “la subordinazione o la scomparsa della popolazione araba, della sua lingua e delle sue tradizioni”. Viene precisato che l’Esecutivo sionista, che era succeduto alla commissione, non ha alcun ruolo nella amministrazione del paese. Su tale interpretazione, escludente la costituzione di uno stato ebraico, venne chiesto il consenso dell’Organizzazione sionista, che dà la sua adesione.
> 24 luglio. Il progetto di mandato britannico sulla Palestina è approvato dal Consiglio della Società delle Nazioni, e ratificato il 29 settembre 1923, mandato in cui viene convalidata la Dichiarazione Balfour entro i limiti tracciati dal Libro Bianco. L’impegno della Gran Bretagna con il sionismo diviene impegno con la Società delle Nazioni, e quindi trattato internazionale. Il preambolo sottolinea “i legami storici del popolo ebraico con la Palestina”; che “il mandatario assumerà la responsabilità di stabilire nel paese condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da assicurare la costituzione di un focolare nazionale per il popolo ebraico” (articolo 2); si raccomanda il riconoscimento di una agenzia ebraica idonea a dare consigli all’amministrazione e a cooperare con essa per quanto concerne la realizzazione di un focolare nazionale ebraico (articolo 4); si esplicita l’obbligo di “facilitare l’immigrazione ebraica” e di “incoraggiare l’insediamento massiccio degli ebrei sulle terre del paese” (articolo 6).
> 16 settembre. La Società delle Nazioni esonera la Transgiordania dall’amministrazione mandataria, come anche dall’applicazione della dichiarazione Balfour, permettendo così alla Gran Bretagna di far passare questa operazione come l’adempimento della promessa di uno stato arabo indipendente, e ai sionisti di considerare questa una spartizione della Palestina in uno stato arabo e uno che poteva divenire il “focolare ebraico”.
1924
> Prende avvio la quarta ondata migratoria, costituita da media borghesia e professionisti. Crescenti disordini arabi, cui segue un periodo di stasi dal 1924 al 1928 che permette agli ebrei di consolidarsi sotto la protezione britannica.
1925
> Congresso sionista dove si dichiara che “nessuna delle due nazionalità deve essere dominata o dominare. Ci deve essere uno stato in cui ebrei ed arabi possano vivere fianco a fianco come due nazionalità con uguali diritti”.
> Sciopero generale contro la dominazione britannica.
1926
> Nuovo sciopero generale.
1928
> Gli ebrei di Palestina (l’ “yishuv”, l’insediamento) si organizzano in Collettività Nazionale Ebraica (Kenesseth Israel), conseguendo di fatto piena autonomia amministrativa, e costituiscono un organo rappresentativo basato su suffragio diretto e proporzionale, l’Assemblea degli Eletti, che designa un Consiglio Nazionale, organo esecutivo e di governo.
1929-39
> Quinto movimento migratorio, accentuatosi dopo l’avvento di Hitler in Germania nel 1933, che in dieci anni conduce in Palestina 210.000 ebrei (di cui 140.000 tra il 1933 e il 1935), che raggiungono così il numero di 430.000, su un totale di un milione e mezzo di abitanti (28 per cento). L’immigrazione assume proporzioni fino ad allora sconosciute. Tale afflusso porterà la tensione ad un punto di rottura. Da questo momento ai moti a base religiosa fanno seguito scioperi e rivolte organizzati. Per il rifiuto britannico di autorizzare l’approdo l’immigrazione diviene clandestina, e molti perdono la vita in mare per il naufragio di vetuste carrette.
1929
> agosto. Gli incidenti tra ebrei ed arabi riprendono ad aggravarsi assumendo un colore religioso. Esplode la prima grande rivolta araba. L’occasione del conflitto è offerta da una questione di accesso al Muro del Pianto. Cui seguono scioperi e manifestazioni, ma anche attacchi contro numerosi centri ebraici, con un grande numero di vittime da entrambe le parti. Nablus, Jenin, Gaza vengono abbandonate dalla popolazione ebraica. Viene nominata una commissione d’inchiesta, la Commissione Shaw, poi Hope Simpson, che pubblica un Libro Bianco (Passfield White Paper) nelle cui conclusioni è compresa la promessa di una evoluzione verso l’autonomia, una richiesta al governo britannico di dare una chiara definizione di quanto il mandato stabiliva in relazione alla “salvaguardia dei diritti delle collettività non ebraiche in Palestina”, e auspica ulteriori restrizioni agli acquisti fondiari dei sionisti e all’immigrazione. Il documento suscita l’opposizione della popolazione ebraica. Weizmann per protesta rassegna le dimissioni dall’Agenzia ebraica. Dopo alcune trattative il primo ministro Ramsay McDonald scrive una lettera a Weizmann che di fatto annulla il documento.
> Si costituisce a Zurigo la “Jewish Agency”, organo di diritto internazionale, la cui esistenza trae origine dal testo del mandato.
1930
> Nasce il partito laburista “Mifleghet Poalim Eretz-Israel” o MAPAI (Partito dei lavoratori della Palestina) dalla fusione del “Ha-poel Ha-zair” e del “Hakhdut Haavoda” (Unione del Lavoro), ala destra della sezione palestinese del “Poalè Sion”, il primo nazionalista e oppositore della lotta di classe, mentre il secondo aveva aderito alla Seconda Internazionale sin dal 1907, ma i suoi dirigenti avevano partecipato con Jabotinskij alla creazione della Legione Ebraica. L’ala sinistra si separa fondando il “Poalè Sion di sinistra”, che combatte nell’Histadrut la collaborazione con i sionisti borghesi e la discriminazione contro i lavoratori arabi. L’estrema sinistra confluirà invece nel Partito Comunista di Palestina, fondendosi con il “Mifleguet Poalim Sotzialistim” o MOPS (Partito degli operai socialisti) e altri gruppi minori.
1933
> ottobre. Moti di strada e sciopero generale, contro il governo mandatario.
1935
> novembre. Cinque partiti arabi costituiscono un fronte unico che rivendica la cessazione dell’immigrazione ebraica, la proibizione delle vendite di terra, la sostituzione del regime mandatario con un governo che rappresenti la maggioranza della popolazione
1936
> 15 aprile. Assassinio di due ebrei per mano di briganti arabi, le cui esequie danno luogo ad incidenti. Il 20 aprile sei partiti costituiscono un esecutivo permanente, l’Alto Comitato Arabo, che lancia un appello allo sciopero generale fino a che gli inglesi non abbiano accettato integralmente il programma nazionalista. Vengono formati comitati di sostegno in Siria, Libano, Iraq, Egitto e Transgiordania. Lo sciopero, che durerà sei mesi, sfocia nella seconda grande rivolta araba, che si protrae fino all’inizio della seconda guerra mondiale.

La grande rivolta araba > L’azione di massa nelle città è fiancheggiata da bande armate composte da palestinesi e volontari stranieri che organizzano una guerriglia sulle colline della Giudea, contrastando una forza britannica di decine di migliaia di uomini, assicurandosi il controllo di diverse regioni e istituendovi una amministrazione parallela. Gli inglesi reprimono la rivolta con l’impiego di aerei ed autoblindo e applicando il principio della responsabilità collettiva dei villaggi, infliggendo multe, requisizioni di bestiame e confische di beni mobili, procedendo a impiccagioni sommarie e facendo saltare in aria abitazioni. Sono istituiti campi di concentramento dove sono rinchiusi migliaia di arabi, mentre altri vengono deportati.
Nonostate la sua estensione e durata la rivolta, rispecchiando l’opposizione tra popolazione urbana e rurale, le rivalità tra famiglie eccellenti e tra queste e i contadini stessi, inizialmente stenta a superare il suo carattere localistico ma poi perviene ad avere carattere unitario. Viene istituito un quartier generale a Damasco, in cui ha sede, sotto la guida di Ibrahim Elissa, un governo provvisorio della Palestina Libera, cui fanno capo una organizzazione amministrativa e l’esercito, dotati di un servizio informazioni, uno di controspionaggio, di tribunali militari, di un reparto ospedaliero distribuito in una trentina di strutture, e di scuole sia civili che militari.

La reazione ebraica > Si concretizza nella creazione delle formazioni clandestine dell’ ”Haganah” (Difesa) e, in contrasto con essa, degli estremisti dell’ “Irgun Zvai Leumì” (Organizzazione militare nazionale), nata sotto l’egida dei revisionisti, e la “banda Stern” o LEHI (“Lohame herut Israel”, Combattenti per la libertà d’Israele), fondato da Avraham Stern e staccatasi dalla precedente organizzazione. L’Irgun e la Stern, a differenza dell’Haganah, teorizzano il terrorismo facendo esplodere bombe nei mercati e negli autobus arabi, la Stern colpendo anche l’amministrazione britannica. Vengono fondate nuove colonie in Galilea e viene sviluppata la collaborazione militare con le forze armate britanniche per sviluppare milizie ebraiche. L’amministrazione britannica raddoppia il numero dei poliziotti ebrei.

> maggio. In una congiuntura internazionale in cui la guerra appare sempre più probabile, la Gran Bretagna, assai allarmata per le proteste arabe, istituisce la Commissione Peel, incaricata di compiere indagini sulle cause delle agitazioni palestinesi e di rivedere il mandato.
1937
> Pubblicazione del Libro Bianco Peel, dove si constata che il tenore di vita degli arabi risulta enormemente superiore a quello di tutti i paesi del Medio Oriente, che un vasto programma di lavori pubblici assorbiva gran parte della mano d’opera, che esistevano efficienti servizi sanitari e sociali. Tutto ciò era stato reso possibile dall’afflusso di capitali e competenze ebraiche e conclude che “gli arabi hanno riportato notevoli vantaggi materiali dall’immigrazione ebraica”. Tuttavia suggerisce restrizioni all’immigrazione ebraica e prospetta per la prima volta l’ipotesi di una spartizione del territorio tra un piccolo stato ebraico di 7.655 kmq e uno arabo assai più vasto, oltre ad una Gerusalemme sotto mandato britannico. La maggioranza ebrea appare incline ad accettare la proposta, che per la prima volta ipotizza la creazione non più solamente di una “sede nazionale” ma di uno stato ebraico. L’opposizione degli arabi è totale.
> settembre, Damasco. Congresso dell’unità araba a Damasco, che respinge la proposta di spartizione.
1938
> La ribellione giunge al culmine giungendo a controllare tutta la regione araba.
> 28 febbraio. Viene nominata una seconda commissione, la Commissione Woodhead, che il 9 novembre pubblica un nuovo Libro Bianco, che propone la riduzione dello stato ebraico alla sola Tel Aviv, per una estensione di soli 1.275 kmq.
> Primi d’ottobre, Il Cairo. Congresso arabo per la Palestina, dove viene elaborato uno schema di accordo compendiato in sei punti: sospensione dell’immigrazione, governo nazionale arabo indipendente come in Iraq, liberazione dei prigionieri politici, revoca della dichiarazione Balfour, cancellazione di ogni progetto di spartizione, diritti di cittadinanza paritari per gli ebrei già residenti. La proposta cade nel vuoto.
1939
> 17 maggio. Pubblicazione di un nuovo Libro Bianco, frutto di una iniziativa unilaterale del governo MacDonald, che segna rispetto alla Dichiarazione Balfour una svolta in senso filoarabo della politica della Gran Bretagna, svolta resa necessaria dalla rivolta araba e dalla situazione internazionale. Viene proclamata l’istituzione entro dieci anni di uno stato indipendente arabo palestinese legato alla Gran Bretagna. Arabi ed ebrei sarebbero immessi nell’amministrazione in parti proporzionali alle rispettive popolazioni. Accogliendo le preoccupazioni arabe l’immigrazione è consentita in misura tale da limitare la popolazione ebraica ad un terzo di quella totale, limite il cui superamento è condizionato all’approvazione araba. Viene limitato l’acquisto di terre. Grande indignazione dei sionisti e fine della collaborazione tra sionismo e Gran Bretagna, fino ad allora sostenuta da Weizmann. L’immigrazione clandestina, la cosiddetta “alyà B”, continua assumendo carattere di massa ed è organizzata dall’Haganah e dall’Histadrut, che provvedono al trasporto e all’alloggio.
> 29 agosto. Weizmann invia una lettera al primo ministro britannico assicurando l’oppoggio sionista in caso di guerra. I nazionalisti arabi si orientano verso l’Asse.
> 1° settembre. Scoppia la seconda guerra mondiale. La Palestina diviene base operativa fondamentale degli inglesi e la rivolta si spegne. I sionisti si alleano con gli inglesi contro i nazisti, ma la richiesta ebraica di formare una unità combattente viene congelata fino al 1941, quando vengono costituiti “commandos” ebraici in previsione di una invasione dell’Inghilterra. Solo nel 1944 viene istituita una Brigata Ebraica, che combatte sul fronte italiano dell’Adriatico. Complessivamente si arruoleranno 140.000 ebrei.
1941
> aprile Negli Stati Uniti viene costituita l’ “American Palestine Committee”, potente gruppo di pressione costituito da 700 personalità, delle quali 6 senatori e 143 deputati.
> Viene proibito l’accesso negli Stati Uniti ai profughi dell’Europa occupata.
> Vengono allestite le brigate d’assalto Palmakh (“Plugot Makhatz”), reparti d’èlite dell’Haganah.
1942
> maggio, New York. All’Hotel Biltmore assemblea dell’Organizzazione sionistica americana, che adotta il programma presentato da Ben Gurion, presidente della “Jewish Agency”, in cui si chiede l’annullamento della decisione britannica del 1939, l’istituzione di uno stato ebraico su tutta la Palestina, la creazione di un esercito e una immigrazione illimitata. Ciò significa il ricorso alle armi per realizzare lo stato ebraico e la rottura definitiva con la Gran Bretagna, quindi la necessità di nuove alleanze, cioè ricercare l’appoggio degli Stati Uniti. Scontro tra Ben Gurion e Weizmann, sostenitore dell’alleanza con la Gran Bretagna e della via politica. Il Programma di Biltmore viene adottato dall’Organizzazione sionista mondiale, divenendo il programma ufficiale del movimento sionista.
> Alla fine dell’anno sono quasi 43.000 gli ebrei palestinesi che si trovano in armi in qualità di volontari, ma Londra ritarda al massimo la costituzione di una unità militare palestinese ebraica.
1943
> gennaio, Casablanca. Primo vertice degli Alleati. Roosvelt esprime la propria convinzione che la vittoria dovrà avere come conseguenza la liquidazione degli imperi. Anticolonialismo di principio che va a coincidere con gli interessi delle grandi compagnie petrolifere. Prende piede l’idea che gli Stati Uniti devono assicurarsi ad ogni costo l’amicizia degli arabi, idea che diviene fondamento della politica del Dipartimento di Stato e degli ambienti militari.
> I senatori Wagner e Taft presentano al Congresso una risoluzione favorevole ad una massiccia immigrazione in Palestina, bloccata dal segretario di stato Corder Hull, con il consenso di Roosvelt.
> Eliminazione del protettorato francese sul Libano, seguita nel 1945 da quello sulla Siria, atti fortemente voluti dalla Gran Bretagna.
1944
> 7 ottobre. Sotto il patrocinio della Gran Bretagna nasce la Lega Araba, che non predicherà la liberazione del mondo arabo, ma si limiterà a combattere il nazionalismo ebraico.
1945
> 12 aprile. L’improvvisa morte di Roosvelt porta Truman alla presidenza.
> 13 novembre. Viene istituita la Commissione angloamericana. Ritiene impossibile la costituzione in Palestina di stati indipendenti, si pronuncia per una Palestina binazionale, propone di prolungare il mandato, dichiarando in contrasto con esso sia la limitazione dell’immigrazione che quella dell’acquisto di terre, e pronunciandosi in favore del rilascio immediato di 100.000 permessi di immigrazione.
> novembre. Sciopero generale cui seguono incidenti di tale gravità che viene decretata l’occupazione militare di Tel Aviv per cinque giorni. Azioni di sabotaggio ed attentati si moltiplicano nei mesi seguenti
> dicembre. Dopo due anni di dilazioni il Congresso approva la risoluzione sull’apertura dell’immigrazione ebrea in Palestina. Ma al tempo stesso rifiuta di discutere l’aumento delle quote di immigrazione negli Stati Uniti per i rifugiati europei.
1946
> gennaio-agosto. Fra gli ebrei scampati alle camere a gas v iene concesso il permesso di immigrazione negli Stati Uniti a 4767 persone.
> pubblicazione del Piano Morrison-Grady, che propone la costituzione di due province autonome e federate, una araba e una ebraica, nonché di due distretti, Gerusalemme e Negev, amministrate dal governo centrale, piano respinto dalla “Jewish Agency”.
> Conferenza di Londra. Il piano Morrison viene discusso senza la partecipazione degli ebrei e degli osservatori americani. Nuove proposte britanniche con il piano Bevin, cioè indipendenza in cinque anni condizionata da un accordo a maggioranza tra arabi ed ebrei, autonomia delle zone abitate da una maggioranza di arabi o di ebrei, riapertura dell’immigrazione per due anni. Il piano viene respinto sia dalla delegazione araba che dalla “Jewish Agency”.

5. LA SPARTIZIONE

“Lo stato d’Israele promuoverà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti gli abitanti. Si baserà sui principi della libertà, della giustizia e della pace divulgati dai profeti. Rispetterà la piena uguaglianza sociale e politica di tutti i suoi cittadini senza distinzione di razza, fede o sesso, garantirà ampia libertà di culto, educazione e cultura. Proteggerà i Luoghi Santi di tutte le fedi. Applicherà lealmente i principi della Carta delle Nazioni Unite.”
Dichiarazione di fondazione dello stato d’Israele.

Dopoguerra in Medio Oriente
> Negli anni della guerra si delineano nel Medio Oriente nuove zone di influenza. Qui è presente una riserva ingentissima di materie prime e specialmente di petrolio, mentre grande è l’importanza della regione intorno al canale di Suez, rotta per le Indie e cerniera intercontinentale. Sin dal 1928 le compagnie americane si assicurano posizioni di forza in Iraq, Kuwait, Bahrein e Arabia Saudita, mentre nel corso della guerra gli Stati Uniti moltiplicano le loro basi militari. Si ha prima, nel 1943, l’eliminazione della Francia, poi la disgregazione dell’impero britannico appare sempre più chiara e gli americani si sostituiscono progressivamente agli inglesi. Sollecitato dagli arabi e dai sionisti Roosvelt segue una politica prudente che ricorda quella della Gran Bretagna durante la prima guerra mondiale. Promette agli arabi che lo statuto della Palestina non verrà modificato “senza una completa consultazione degli arabi e degli ebrei” (26 maggio 1943), ed agli ebrei che “sarà resa piena giustizia a coloro che desiderano una patria ebraica” (marzo 1944).
In vista della fine del mandato e di una probabile spartizione, tutti sanno che ciò significa la guerra e si affrettano a compiere i preparativi. Si tratta in realtà di quattro guerre. Tra arabi ed inglesi sarà una guerra coloniale di indipendenza, mentre quella tra ebrei e inglesi appare piuttosto una rivolta di coloni contro la metropoli, come la guerra dei boeri. Mentre quella tra arabi ed israeliani sarà una guerra nazionalista, ma anche uno scontro tra gli inglesi, che di fatto dirigono attraverso i loro agenti gli eserciti arabi, e gli Stati Uniti, ai quali il nuovo stato ebraico è utile per sloggiare gli inglesi dalla regione.

Gli arabi si preparano alla guerra
> Fino al momento della scadenza del mandato la parte più rilevante della reazione armata dei palestinesi è rappresentata dalle bande presenti nelle zone montagnose, formate con il tradizionale sistema di mobilitazione nel quale il capo tribù, lo “shaikh”, ha il potere di chiamare a raccolta gli uomini per un periodo limitato e per una precisa missione. Tale sistema tradizionale offre il vantaggio di poter riunire rapidamente una massa di uomini, ma un ruolo crescente avranno i volontari provenienti dall’esterno, fra i quali i volontari dell’Esercito Arabo di Liberazione, radunato dalla Lega Araba e costituito da 6.000 effettivi, comandati da al-Kaukji, eroe della rivolta del 1939, i quali a partire dal gennaio entrano in Palestina. Reclutati nelle moschee, attratti dalla promessa di un soldo considerevole, i volontari si erano mossi per andare a difendere Gerusalemme, ma anche per il saccheggio e l’avventura. Privi di un’autorità centrale, il comando era lasciato ai capi banda giunti con le loro truppe. Mancano di equipaggiamento e rifornimenti in quanto gli stati aderenti alla Lega Araba hanno versato solo un decimo dei finanziamenti promessi.

Gli ebrei preparano la guerra
> L’Agenzia Ebraica, che per fronteggiare i cannoni, i carri armati e l’aviazione degli eserciti arabi dispone solo di armamento leggero, lancia un appello alla comunità ebraica americana, da sempre la principale fonte di finanziamenti per la causa sionista, che risponde prontamente con il versamento di cinquanta milioni di dollari, il doppio di quanto richiesto. Con tali fondi vengono acquistate armi pesanti e viene costituita all’estero una aviazione militare, pronta ad essere trasferita in Palestina. Tutto ciò viene attuato clandestinamente in quanto per operare sul mercato internazionale degli armamenti occorre essere accreditati presso uno stato sovrano.
Durante le ultime settimane dell’occupazione britannica gli ebrei decidono di impadronirsi di un certo numero di obbiettivi prima dell’arrivo degli eserciti regolari arabi, cercando di assicurarsi più territorio possibile prima della ritirata degli inglesi. La strategia dell’Haganah è semplice: quanto possiedono gli ebrei deve essere conservato, ogni avamposto mantenuto. Per questo occorre costringere la popolazione a rimanere al suo posto. Se qualche famiglia deve essere allontanata un’altra deve sostituirla. Si devono sistemare famiglie ebraiche nelle case arabe abbandonate per acquisire un diritto di occupazione. A questo fine gli arabi vengono cacciati dai quartieri misti per mezzo di una campagna di intimidazione, che li induce, soprattutto i più agiati, a trasferirsi ad Amman, Beirut e Damasco, in un flusso ininterrotto che vuota lentamente le zone arabe. Inizia il dramma dei profughi palestinesi, finiti per la maggior parte in un campo profughi. Le truppe britanniche non intervengo che una sola volta, a Giaffa, ma non trovano più quasi nessun arabo cui restituire la città. Dopo l’ondata di attentati ebraici i guerriglieri del Muftì stabiliscono di rispondere al terrore con il terrore. Ma per gli ebrei non esiste via di fuga, solo il mare.
L’Haganah viene trasformata da organizzazione informale e clandestina in struttura militarizzata. Si instaura il principio fondamentale della gerarchia, ogni membro dello stato maggiore ha un grado e un incarico specifico, ogni ordine deve essere scritto, si impone l’uso dell’uniforme con i gradi e l’obbligo del saluto.

La politica delle grandi potenze
> La Gran Bretagna, che ha accettato la spartizione della Palestina con “un minimo assoluto di entusiasmo”, osserva una neutralità ufficiale, ma nel complesso favorevole agli arabi, allineando i propri interessi nel Medio Oriente a quelli arabi, pur frenando le loro iniziative belliche. La Francia è impegnata in Indocina. Gli Stati Uniti sono incerti. Vi è una frattura tra il Dipartimento di Stato, che teme che il risentimento arabo nei confronti dell’Occidente possa aprire all’Unione Sovietica la porta del Medio Oriente con le sue immense riserve petrolifere, e il presidente Truman, più sensibile alle pressioni della lobby ebraica. Ma nello stesso tempo gli Stati Uniti intendono minare la tradizionale egemonia della Gran Bretagna in Medio Oriente, in ciò appoggiati dall’Unione Sovietica, quindi, propendono a credere che, nel caso il sionismo risultasse vincente contro la coalizione araba, la costituzione di un forte stato israeliano costituirebbe una valida alternativa al nazionalismo arabo, che ha il sostegno della Gran Bretagna.

1947
> L’Assemblea Generale dell’ONU nomina una Commissione d’Inchiesta, l’UNSCOP, comprendente otto stati, di cui nessuno arabo e uno solo islamico, l’Iran. Gli arabi palestinesi rifiutano di comparire davanti alla Commissione. Vengono elaborati due progetti, resi pubblici il 1° settembre. Quello di minoranza, presentato da Iran, India e Jugoslavia, propone una federazione che comprenda uno stato ebraico ed uno arabo, costituiti da due zone ciascuno. Quello di maggioranza, propone la costituzione di due stati indipendenti, con Gerusalemme amministrata dall’ONU
. > Immediatamente dopo la pubblicazione dei progetti, l’Assemblea Generale nomina un comitato comprendente tutti i paesi membri (Ad Hoc Committee on the Palestine Question). Di fronte ad esso il ministro britannico competente dichiara che la Gran Bretagna non avrebbe assunto alcuna responsabilità per soluzioni non accettate ad entrambe le parti, e quindi non avrebbe intrapreso “nessuna azione suscettibile ad impegnarla ad applicare la spartizione”, e che in mancanza di una soluzione concordata avrebbe abbandonato il mandato ritirando le proprie truppe. Ma che fino alla data dell’evacuazione avrebbe conservato l’ “individed control” della situazione palestinese, respingendo tutti i progetti di progressivo ritiro delle forze inglesi e l’installazione parallela di una amministrazione provvisoria dell’ONU, ciò che equivaleva a precipitare la situazione nella guerra.
L’idea della spartizione raccoglie consensi, ed anche Stati Uniti ed Unione Sovietica trovano un accordo su tale base, poiché ritengono che la creazione di uno stato ebraico possa determinare un indebolimento dell’influenza della Gran Bretagna in Medio Oriente.
> Gli arabi dichiarano che il problema dei profughi ebrei deve essere tenuto distinto da quello palestinese, che non spetta a loro di risolvere il problema ebraico, provocato dalle vicende europee. Rivendicano la creazione di uno stato unitario sulla base della popolazione esistente, stato che avrebbe tenuto conto dei diritti della minoranza ebraica. Il Comitato respinge la proposta araba e raccomanda la spartizione.
> 18 febbraio. La Gran Bretagna decide di internazionalizzare il caso e rimette il problema alle Nazioni Unite.
> 14 maggio. Il delegato sovietico all’ONU Gromiko reclama l’immediata abolizione del mandato britannico e auspica la realizzazione in Palestina di uno stato binazionale, e qualora ciò si rivelasse impossibile, quella di uno stato ebraico.
> Gli Stati Uniti, dove il presidente Truman ha imposto il proprio punto di vista alle riluttanti sfere governative, si dimostrano i più attivi a promuovere la spartizione. Sensibili alle pressioni elettorali della comunità ebraica, moltissimi uomini politici americani conducono una fervente campagna per l’immigrazione senza limitazioni in Palestina e la costituzione di uno stato ebraico. La Casa Bianca esercita pressioni di ogni sorta sui paesi contrari o solo indecisi alla spartizione. Non esita a minacciare il delegato francese all’ONU, Alexandre Parodi, di una possibile interruzione degli aiuti americani. Così anche Grecia, Liberia, Filippine, Haiti sono sottoposte ad una serie incredibile di pressioni ed anche di minaccie.
> estate. Gli incidenti tra arabi ed ebrei, soprattutto nella zona tra Giaffa e Tel Aviv, si moltiplicano. Gli attriti, sempre più numerosi nelle città miste, scavano ogni giorno di più il fossato che divide gli ebrei dagli arabi. La spartizione diviene una realtà prima di essere annunciata.
> 16-19 settembre In Libano il comitato politico della Lega Araba decide di resistere con tutti i mezzi alla spartizione.
> 29 novembre. L’Assemblea Generale vota sulla creazione in Palestina di uno stato ebraico e di uno arabo. Per l’approvazione è necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi (dei votanti). La mozione è approvata con 33 voti favorevoli contro 13 contrari e 10 astenuti. Il mandato scadrà il 15 maggio 1948. A Gerusalemme il quartiere ebreo viene devastato. Torbidi scoppiano in diverse capitali del mondo arabo: Damasco, Beirut, Amman
> 30 novembre. Una guerriglia rurale antisionista viene intrapresa da milizie arabe rifornite dalla Lega araba.
> dicembre, gli Stati Uniti pongono l’embargo all’esportazione di armi nel Medio Oriente, mentre l’Inghilterra continua a vendere armi agli arabi.
1948
> gennaio. L’Esercito di Liberazione Arabo, comandato da al-Kaukji, entra in Palestina, senza trovare opposizione da parte britannica. Insieme alle truppe palestinesi di Abd al-Kader Husseini attaccano colonie strategiche e bloccano la strada Tel Aviv-Gerusalemme.
> febbraio. Colpo di stato a Praga: inizio della guerra fredda.
> primavera. La situazione per gli ebrei appare disperata: gli arabi stanno per vincere la battaglia delle strade. Le comunicazioni con le colonie ebraiche distaccate sono interrotte, o non si conservano che al prezzo di estenuanti sacrifici. Gerusalemme è sottoposta ad assedio, le colonne di rifornimento decimate dalle imboscate. Il nord della Palestina è minacciato dalle truppe di al-Kaukji.
> marzo. La Lega Araba nega i rifornimenti di armi alle formazioni del Muftì.
> 19 marzo. Allarmata per la situazione internazionale e per la piega presa dagli avvenimenti in Palestina, Washington è tentata di abbandonare il piano di spartizione. Warren Austin, capo della delegazione americana all’ONU, interpretando la risoluzione del 29 settembre come una semplice “raccomandazione”, richiede solennemente al Consiglio di Sicurezza di sospendere ogni atto concernente la spartizione e di convocare l’Assemblea generale per stabilire una una tutela temporanea (temporary trustship) delle Nazioni Unite sulla Palestina. Piano che peraltro non viene appoggiato dall’Assemblea.
> metà aprile. Gli arabi respingono il piano americano riguardo la tutela delle Nazioni Unite sulla Palestina.
> aprile. Controffensiva sionista: vengono conquistate Tiberiade (18 aprile), Haifa (22 aprile), Safed (10 maggio), Giaffa (13 maggio). Grazie ad un accordo con al-Kaukji le forze ebraiche liberano la strada per Gerusalemme, senza che questi venga in aiuto di Abd al-Kader assediato a Castel. Dopo la caduta di Castel i palestinesi non avranno alcun ruolo nello svolgimento della guerra
> 7 maggio Il segretario del Dipartimento di Stato generale Marshall tenta di persuadere l’Agenzia Ebraica a differire la proclamazione dello stato ebraico, temendo di dover inviare truppe in Palestina per salvare gli ebrei dallo sterminio. > 9 maggio. Truman, dietro pressione di Marshall, rinuncia al riconoscimento di un futuro stato ebraico.
> 13 maggio. Il generale irakeno Ismail Safwat, comandante in capo degli eserciti arabi, per protesta contro l’assenza di un piano di operazioni comune rassegna le dimissioni. All’Onu la delegazione americana propone la nomina di un mediatore che si impegni in una soluzione pacifica.
> 14 maggio. Malgrado i forti timori per la critica situazione sul campo, per cui alcuni propendevano per l’accettazione della tutela temporanea da parte dell’ONU, il governo provvisorio ebraico presieduto da Ben Gurion, proclama con 6 voti contro 4 (e 3 assenti) la fondazione dello stato d’Israele.

6. LA GUERRA

Nessun popolo è così tradizionalmente amante e difensore della propria famiglia quanto quello arabo, seguace fervente della propria religione, difensore della propria tradizione e dell’onore, e infine guerriero cavalleresco che mai aggredisce se non per difendersi.
Ralph McGrey, agente del “Colonial Intelligence Office”.

La politica delle grandi potenze
> Mentre gli ebrei accettano uno stato ebraico al di sotto delle loro aspettative, gli arabi rifiutano la soluzione internazionale, nella quale si ripetevano gli inganni subiti nella prima guerra mondiale. L’Europa, ignorando le rivendicazioni del nazionalismo arabo, aveva inviato coloni che avevano come obbiettivo l’occupazione del loro territorio nazionale. Nel periodo in cui una reazione degli arabi avrebbe potuto facilmente scacciare questi coloni, essa era stata impedita dalle forze armate britanniche, su mandato delle potenze europee. Agli arabi era stata data la fallace assicurazione che si trattava solo dell’insediamento di pochi gruppi minoritari, e quando poi il vero disegno di tali gruppi si rivelò insieme alla loro forza, il mondo europeo e americano, compresa l’Unione Sovietica, vollero imporre agli arabi il fatto compiuto.

Le forze ebraiche in campo
> Quando si verificò l’invasione le forze militari ebraiche erano costituite da 60.000 effettivi, dei quali solo 20.000 operativi a causa della carenza di armamenti. Inoltre, erano costituite da reparti organizzati per la lotta clandestina, per cui non disponevano di armi adatte per una guerra in campo aperto. Inoltre, alcune divisioni intestine, simili a quelle esistenti tra gli arabi, minavano l’esercito che risultava costituito da un mosaico di feudi i cui capi avevano l’abitudine di valutare personalmente la situazione e di interpretare gli ordini a loro giudizio. Le formazioni dell’Irgun e del gruppo Stern erano praticamente autonome. Il Palmakh, movimento giovanile del partito socialdemocratico MAPAI e formazione d’élite dell’Haganah, disprezzava la disciplina e requisiva le armi che gli occorrevano. Inoltre, il partito di destra MAPAM temeva potesse divenire strumento di un colpo di stato della sinistra. Tuttavia la partecipazione della Haganah nella seconda guerra mondiale a fianco degli Alleati, cui presero parte 43.000 volontari ebrei palestinesi, aveva permesso a molti dei suoi membri di farsi una esperienza bellica in un esercito moderno. Inoltre disponeva di servizi di informazione di grande efficienza.

La debolezza delle forze arabe > Nessuna esperienza del genere aveva la comunità araba. Rari erano i giovani arabi della borghesia ad aver avuto qualsiasi istruzione militare. Questa borghesia disprezzava il mestiere delle armi, lasciando alle altre classi i compiti militari. Per gli arabi delle campagne, invece, possedere un’arma da fuoco è un onore. Portati naturalmente alla guerriglia, ben comandati potevano diventare forti avversari. Appartenenti di una società fortemente gerarchizzata, i contadini tributavano per i loro capi un vero culto dell’eroe ed erano disposti a seguirlo ovunque, ma lasciati a se stessi tendevano a sbandarsi immediatamente. Era fra di loro che il Gran Muftì di Gerusalemme aveva arruolato i suoi partigiani più fedeli, costituendo i Combattenti per la Guerra Santa. Ma si trattava di un esercito primitivo che sprezzava la disciplina, legato ai villaggi che assicuravano loro la sussistenza, comandato da ufficiali scelti nei clan.
Quanto alle nazioni che costituivano la Lega Araba la lingua comune e la religione le univano con legami più apparenti che reali. La Siria e il Libano si erano dati governi repubblicani e parlamentari di stampo francese. L’Arabia Saudita, la Transgiordania e lo Yemen erano regni feudali, l’Egitto e l’Iraq monarchie costituzionali di stile formalmente anglosassone. Una trama di rivalità corrodeva i loro rapporti. Quella tra l’Arabia ricca di petrolio e i vicini meno fortunati. Le ambizioni espansioniste dell’Irak che voleva annettersi la Siria, della Siria che intendeva fare altrettanto con il Libano, e della Transgiordania e dell’Egitto con la parte della Palestina attribuita agli arabi. Inoltre esistevano antagonismi dinastici. Primo fra tutti quello che fin dai tempi della rivolta contro gli ottomani opponeva i Sauditi, e la setta wahabita da essi sostenuta, agli Hascemiti dell’Iraq e della Transgiordania, che Ibn Saud aveva cacciato dall’Arabia per fondare un suo regno. Case regnanti che intendevano entrambe porsi alla testa dell’unità araba, e per questo aspiravano al califfato. Inoltre un identico antagonismo opponeva il re Abdullah di Transgiordania, che voleva annettersi Gerusalemme e per questo segretamente favorevole alla spartizione, al Gran Muftì, che voleva fare della Palestina un suo feudo, ma anche al re Faruq d’Egitto, per lo stesso motivo, che proteggeva perciò il Gran Muftì.
La rivalità e il sospetto che infestano i rapporti politici fra gli arabi avvelenano anche i loro rapporti militari, per cui gli eserciti arabi non riescono a formare un comando unificato e soprattutto a darsi un comandante in capo dotato di reale autorità. Complessivamente i dirigenti arabi erano dei moderati, feudali e borghesi miopi, legati ottusamente ai propri interessi immediati. Più inclini al conservatorismo che all’avventura, si sentivano più vicini ai loro antichi colonizzatori che a coloro che governavano.
Favoriti dalle divisioni che travagliano lo schieramento avversario e contando quasi unicamente sulla propria compattezza morale nella prima fase gli ebrei riuscirono a tenere a bada le formazioni avversarie.

1948
> 15 maggio. Scade il mandato britannico. Il tentativo ebraico di impossesarsi della citta vecchia di Gerusalemme fallisce. Le pressioni della lobby ebraica a Washington persuadono Marshall a riconsiderare la sua posizione consentendo così al presidente Truman di annunciare che gli Stati Uniti riconoscono lo Stato di Israele
> Lo sceicco di al-Azhar, l’Università del Cairo e centro spirituale dell’Islam, proclama la guerra santa. Sette paesi della Lega Araba - Transgiordania, Egitto, Libano, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Yemen - inviano truppe in Palestina. al-Kaukji però riporta il suo esercito al di là del Giordano, dove verrà sciolto.
> 18 maggio. La Legione Araba occupa la città vecchia di Gerusalemme.
> 22 maggio. Il Consiglio di Sicurezza, aderendo alle sollecitazioni di Stati Uniti e Unione Sovietica, chiede la cessazione del fuoco entro trentasei ore, ma senza minacciare sanzioni, cui si oppone Londra. Dal 14 maggio gli Stati Uniti insistono nel chiedere una sospensione delle ostilità. La Gran Bretagna ostacola tali iniziative, puntando apertamente su di un successo degli eserciti arabi. La tregua è respinta dagli arabi.
> 27 maggio. La Gran Bretagna propone una tregua di quattro settimane. Inoltre, ordina che tutti gli ufficiali inglesi che in Transgiordania servivano nella Legione Araba vengano allontanati dai campi di battaglia, minaccia di ridurre le sovvenzioni alla Legione Araba se la Transgiordania sfiderà le Nazioni Unite e pone l’embargo all’esportazione di armi in Medio Oriente. Tali decisioni costituiscono un allineamento della Gran Bretagna alle posizioni degli Stati Uniti, i quali a tal fine avevano minacciato Londra di negarle gli aiuti economici, indispensabili nel dopoguerra.
Pur riuscendo a respingere i siriani fuori dalla Galilea, Israele, con Gerusalemme assediata e priva di rifornimenti, sconfitta a Jenin, con gli egiziani a 35 kilometri da Tel Aviv, ed esaurite le riserve, accetta la tregua.
Anche gli arabi, che stanno per esaurire le munizioni, devono accettare la tregua. Iraq, Transgiordania ed Egitto dipendono dalla Gran Bretagna per i rifornimenti militari, che ora ha posto l’embargo agli armamenti e consiglia di aderire alla tregua.
> 11 giugno. Inizio di una tregua di trenta giorni, alla condizione di un blocco totale alle spedizioni di armi e all’immigrazione.
> Gli ebrei, violando flagrantemente le condizioni della tregua fanno arrivare in massa rifornimenti militari nei porti del paese. E soprattutto riforniscono Gerusalemme assediata. Viene costituita a Zatec in Cecoslovacchia una base aerea israeliana. In piena guerra fredda sorge dietro la cortina di ferro una base aerea controllata da ebrei americani. Ora Israele può schierare in campo 60.000 uomini e per la prima volta è superiore agli arabi in numero e mezzi.
> Privati, a causa dell’embargo britannico, della loro principale fonte di rifornimento, gli arabi non poterono durante la tregua che aumentare il loro armamento in modo trascurabile.
> 20 giugno. L’Irgun, contraria alla tregua, tenta un colpo di stato, impadronendosi per alcune ore di Tel Aviv.
> 3 luglio. La Segreteria generale della Lega araba respinge qualsiasi soluzione che accordi una qualche forma di autonomia nazionale agli ebrei palestinesi.
> 7 luglio. L’ONU chiede una dilazione della tregua. Ora Israele non ha più alcun interesse ad aderire, ma accetta tatticamente contando su di un rifiuto da parte degli arabi, come in effetti avviene.
> 9 luglio. Ripresa dei combattimenti. Israele è all’attacco su tutti i fronti, mentre gli arabi si ritirano con gravi perdite. I combattimenti si prolungheranno ancora ma le sorti della guerra sono ormai decise.
> 11 settembre. Viene proclamata dall’ONU un'altra tregua, che si prolunga fino all’autunno. Quando gli arabi riprendono l’offensiva l’esercito ebraico ha ulteriormente messo a punto la sua organizzazione e sconfigge gli eserciti trangiordano, siriaco ed egiziano.
1949
> 7 gennaio. Viene stabilito il cessate il fuoco definitivo.
> 13 gennaio. Iniziano le trattative per un armistizio tra Israele ed Egitto, firmato il > 24 gennaio. Nei mesi seguenti accordi simili vengono conclusi con ciascuno degli altri avversari, eccettuato l’Iraq.

L’esito del conflitto > I sionisti hanno raggiunto il loro fine: ora esisteva uno stato ebraico, insediato su un territorio pari ai quattro quinti della Palestina. Ma non è autosufficiente. Già negli anni 1933-1937 le esportazioni coprono solo il 29 per cento delle importazioni, rapporto che scende all’11 per cento nel 1952. L’economia si regge per i contributi volontari provenienti dalla Diarpora, soprattutto dagli Stati Uniti, che tra il 1917 il 1942 rappresentano l’87 per cento del totale.
> Per gli arabi una colonia straniera si era insediata sul loro territorio, cacciandone la maggior parte degli abitanti arabi. Vi sono 580.000 arabi rifugiati nei paesi circostanti per sfuggire alla guerra. Fin dal giugno 1948 Ben Gurion ordina “che i villaggi abbandonati siano immediatamente occupati da famiglie ebree”. Grazie all’esodo arabo l’80 per cento delle terre israeliane è costituito da terre abbandonate, che vengono confiscate, pur con il riconoscimento di un indennizzo, rifiutato dalla grande maggioranza dei proprietari. Dal canto loro gli stati arabi fecero ben poco per assistere gli esiliati. Siria e Iraq chiusero loro le porte. Il Libano ne accolse un numero limitato. L’Egitto li confinò nella striscia di Gaza. Soltanto la Transgiordania fece uno sforzo reale per accoglierli, essendosi peraltro annessa la Cisgiordania.

Nota. Il presente testo è una compilazione, integrata da alcune osservazioni dell’estensore, di brani estratti dai seguenti testi:

Ralph McGrey, Fuoco e sangue nella terra di Cristo, Renon, 1948
Fabio della Seta , Antico nuovo Israele, ERI, 1959.
Maxime Rondison, Israele e il rifiuto arabo, Einaudi, 1969.
Jon Kimche, Il secondo risveglio arabo, Garzanti, 1970.
Dominique Lapierre, Larry Collins, Gerusalemme! Gerusalemme!, Garzanti, 1972.
Paolo Maltese, Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico 1798-1992, Mursia, 1992.
Abram Lèon, Il marxismo e la questione ebraica, La giovane talpa, 2006.
Nathan Weinstock, Storia del Sionismo, Massari, 2006