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Arte e Materialismo Dialettico

Prima di entrare nel vivo dell’argomento è necessaria una premessa. Nell’ambito del marxismo il materialismo dialettico costituisce l’esito del tentativo di Engels di applicare la dialettica hegeliana a tutto l’esistente considerato materialisticamente.(Cfr. Engels, Dialettica della natura, e anche Antiduhring). Intento che viene realizzato a partire dal pensiero idealista nella sua espressione più sviluppata, la filosofia hegeliana, operando un capovolgimento nel rapporto tra pensiero e materia, in cui quest’ultima viene posta come fondamento del primo. Tale inversione era già stata compiuta da Marx nel campo della storia, dando origine al materialismo storico, ponendo l’economia e la produzione materiale, la cosiddetta struttura, come l’elemento che determina le istituzioni sociali e la produzione intellettuale, cioè la sovrastruttura. Il progetto di Marx è quello di creare una teoria della storia su basi empiriche e materialistiche, criticando così lo storicismo di Hegel e di tutta la filosofia idealistica tedesca. A tal fine pone a confronto lo storicismo tedesco con le maggiori realizzazioni teorico-pratiche della nuova società borghese che si stava allora affermando. Cioè l’economia politica inglese, la nuova scienza borghese, e la rivoluzione francese, cioè il nuovo stato borghese. Tale incontro determina il passaggio del giovane Marx dall’idealismo hegeliano al materialismo storico, base del socialismo scientifico, cioè della dottrina che considera il capitalismo una società transeunte, teoria scientifica perché fondata sull’economia politica, la vera “scienza della storia”. Per cui parlando delle epoche rivoluzionarie Marx così scrive: “Come non si può giudicare un uomo dall’idea che ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che ha di se stessa, occorre invece spiegare questa coscienza con con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.” (Per la critica dell’economia politica)
Marx non è mai andato oltre, nemmeno negli scritti giovanili, ancora influenzati da Hegel e Feuerbach, e rimane in una posizione neutrale rispetto al tentativo di Engels, senza pronunciarsi in merito. Sebbene si possa affermare che chi tace acconsente, non è lecito interpretare il silenzio. Al contrario, il modo in cui Marx sviluppa e applica il materialismo come teoria della storia, lascia pochi dubbi riguardo la sua posizione rispetto a un pensiero come quello di Engels, che non poteva non considerare aprioristico e non scientifico, cioè una espressione di quel pensiero filosofico che aveva sempre combattuto. Il motivo di tale silenzio resta indecifrabile.
Ma per questo occorre distinguere tra materialismo storico e materialismo dialettico. Il primo ha il suo campo di applicazione specifico nella storia e, in senso lato, in tutte le attività umane considerate storicamente, ma dal punto di vista della teoria, cioè come attività insieme sociali e naturali. Il secondo è l’estensione del primo a tutto l’esistente come teoria universale, quindi anche alla natura in quanto tale. Se tale operazione è lecita lo si verifica dal confronto con i fatti, ma il rischio è sempre quello per cui tentando di liquidare una metafisica ci si trovi semplicemente a fondarne un’altra. In realtà alla prova dei fatti il materialismo dialettico ha mostrato di essere niente più di un pensiero aprioristico di nessuna utilità come strumento di indagine del mondo materiale e fonte di confusione e dogmatismo come pensiero storico e sociale, come ampiamente dimostrato, sotto la denominazione di Diamat, nel ruolo di dottrina ufficiale dello stato sovietico, cioè del capitalismo di stato.
Ciò non comporta necessariamente che il materialismo dialettico vada rifiutato. Rimane un legittimo tentativo di visione unitaria del mondo, di superamento della intollerabile separazione tra scienze umane e naturali, quindi di eliminazione di ogni linguaggio specialistico e di ogni definizione a priori di ciò che è scientifico e ciò che non lo è. Quindi liquidazione di ogni dichiarazione aprioristica di legittimità del sapere, prerogativa che ogni potere ha sempre avocato a sè. In tal senso per il materialismo dialettico la sua applicazione al campo dell’arte è un caso esemplare della sua possibile fecondità. Infatti esso permette di riconoscere un rapporto tra produzione artistica e momento storico, di ravvisare nell’opera d’arte le suggestioni e i condizionamenti che gli provengono dall’ambiente sociale in cui è nata, e all’inverso anche l’influenza che essa vi esercita. Si tratta di un campo in cui si tocca con mano il rapporto tra struttura materiale e sovrastruttura come produzione intellettuale. Senza dimenticare però le difficoltà che incontra il materialismo dialettico nel descrivere il mondo naturale, difficoltà che nei limiti di questo scritto non possono essere trattate.
Qualche problema si incontra anche quando si vuole usare il materialismo dialettico come linguaggio interno al campo dell’arte. E’ certamente possibile in tal senso utilizzarlo in senso metaforico, come linguaggio descrittivo, ciò che può essere utile in un campo in cui si ha a che fare con concetti indeterminati e stati d’animo altrettanto sfuggenti, cioè con qualcosa di eminentemente soggettivo. Ma occorre procedere con cautela poiché quel che non è lecito è fare un uso arbitrario di una teoria esistente, fuori dal suo contesto originale, ciò che in verità ha già compiuto come suo peccato d’origine il materialismo dialettico rispetto al materialismo storico, perché i termini del discorso hanno un significato già fissato all’interno di una teoria determinata. Non è proprio il caso di aggiungere confusione a confusione.
In generale nel discorso artistico si va ancora oltre nel trascurare questi problemi, facendo uso di termini manifestamente privi di un contenuto, in quanto esso, in quanto modo d’uso degli stessi, non viene specificato in nessun luogo. E quando lo è esso è noto solo agli specialisti del settore, che si guardan bene dal divulgarlo, rendendo così il discorso artistico un esempio caratteristico di linguaggio elitario. Certo tutto ciò lascia al pubblico la libertà di interpretare il discorso, ma anche la responsabilità, salvo poi dover affrontare ad armi impari gli specialisti spocchiosi che infestano l’ambiente. Uno per tutti il caso dei situazionisti, che peraltro vantavano qualche merito, ciò che non si può dire in generale per gli specialisti, soprattutto nel campo dell’arte.
A parte tali patologie, fortunatamente non generalizzabili, ciò non deve tuttavia impedire di porre il problema e di concettualizzarlo, perché queste critiche sono sempre quanto si dice di tutto ciò che attende ancora la sua realizzazione, cioè la sua oggettivazione, quindi la sua teoria. Inoltre tali tratti del linguaggio artistico trovano senza dubbio una giustificazione nel fatto che qui si tenta spesso di esprimere l’inesprimibile, cioè si vuole entrare nel campo della metafisica, a volte sconfinando nel misticismo, si vuole rappresentare una realtà altra, che viene posta come più reale del reale. Allora il linguaggio viene usato in senso metaforico, allusivo, traslato. Ciò che in effetti viene realizzato nei manifesti dagli artisti, nei cataloghi dai critici, nei trattati da storici e filosofi. Allora si dice che si è esplicitata la poetica di un artista, di una corrente o di un’epoca. Ma in realtà quale essa sia in gran parte sfugge ad una chiara comprensione, tutt’al più viene comunicata una vaga sensazione. E’ evidente che la comunicazione passa attraverso altre vie.
Il fatto è che l’arte è comunicazione. Gli artisti descrivono una determinata realtà con mezzi e per fini che gli sono propri. Ma ciò presuppone l’uso di mezzi che costituiscono a tempo stesso un linguaggio comune tra artisti e pubblico. Gli artisti usano un linguaggio costituito da un codice più o meno esplicito, più o meno esatto: forma, colore, composizione, ma anche tecniche e materiali, non separati dagli elementi formali. A questi elementi viene poi attribuito un contenuto: figurativo, astratto, simbolico, percettivo o altro. Questo linguaggio deve essere condiviso cioè appreso, almeno in generale, dal pubblico, e se questo è parte di un ambiente sociale determinato, viene appreso partecipando alla vita di tale ambiente, allo stesso modo in cui si apprende la madrelingua. Un apprendimento completo avverrà con un apprendistato o uno studio formale in ambiti specifici, per chi desidera approfondirne la conoscenza. Ma se non esiste questo ambiente integrato, se cioè non esiste un linguaggio comune, non esisterà nemmeno comunicazione. E’ quanto che accade nella società del capitale, dove non esiste comunicazione reale, ma solo scambio di merci tra individui isolati.
Ciononostante si continua a fare arte, ed è chiaro che ciò accade perché anche l’assenza di comunicazione è comunicazione. Infatti ciò significa che si vuole comunicare proprio questo, che non esiste comunicazione, che ci troviamo in un’epoca in cui la comunicazione è impossibile. Che non si vuole rappresentare altro che l’isolamento dell’artista, cioè una realtà sociale basata sulla produzione e riproduzione dell’individuo isolato. Ma non solo. Nello stesso tempo, volenti o no, si dichiara esplicitamente che un linguaggio determinato una volta per tutte non è più ammissibile, che l’arte sta cercando una sua realizzazione in una forma dinamica, molteplice e mutevole, realizzata in un linguaggio multiforme, in una comunicazione libera. Per cui l’isolamento dell’artista rappresenta solo una fase del processo di sviluppo dell’arte e della società.
Qui il materialismo dialettico diviene indispensabile. In termini dialettici quella attuale è una fase negativa, dove l’arte distrugge se stessa, cioè si oppone alle forme superate dell’arte specialistica, di arte separata orgogliosamente e masochisticamente dal mondo, processo in cui l’artista si espone come capro espiatorio volontario alla società alienata come rappresentazione dell’alienazione del mondo. Ma a tale fase succederà la negazione della negazione, tutta ancora da teorizzare e praticare, in cui questo momento autocritico dell’arte, questo purgatorio che rappresenta quello di tutta la società, avrà termine. E con esso avrà fine questa successione infinita di avanguardie, ciascuna soppressione assoluta di tutte quelle che l’hanno preceduta e si realizzerà infine il superamento sia dell’arte specializzata che della sua critica puramente negativa, cioè dell’arte che distrugge l’arte. Questo avverrà in una sintesi che avrà certamente la forma di una fusione tra arte e vita concreta, in una reale unificazione tra mondo possibile, finora solo intravisto come sogno nella religione, nella filosofia e appunto nell’arte, cioè nella sfera intellettuale, e mondo reale, cioè la natura in cui il mondo umano è parte integrante. In questa sintesi l’arte scompare come sfera autonoma per realizzarsi materialmente e confondersi con la vita stessa.

Valerio Bertello - gennaio 2009